Rilanciare la vera dieta mediterranea consumando più cibi prodotti in Sicilia e nel Sud: ecco come fare

16 maggio 2017

Intervenendo sabato scorso al convegno su “Questione monetaria, nuove politiche contro il finanzcapitalismo, elezioni comunali ed elezioni regionali 2017”, l’economista siciliano, Antonio Piraino, ha sottolineato che per rilanciare l’economia siciliana dobbiamo incidere sui comportamenti, a cominciare dal consumo di beni alimentari. Discorso, questo, che è anche uno dei punti di forza del programma di governo di Franco Busalacchi, titolare di questo blog e candidato alla presidenza della Regione: “Mangiare siciliano”. Che senso ha parlare di dieta mediterranea se poi si consumano cibi che arrivano da chissà dove? 

Su 13-15 miliardi di Euro che ogni anno i Siciliani spendono per acquistare i beni agro-alimentari, solo 2 miliardi di Euro circa restano in Sicilia. Insomma, oltre 10 miliardi di Euro di alimenti che si consumano nella nostra Isola provengono dal resto d’Italia e dall’estero. Cibi che, sempre più spesso, vengono, di fatto, imposti dalle multinazionali e dalla Grande distribuzione organizzata (Gdo). Da qui alcune domande: cosa fare per frenare l’invadenza delle multinazionali in Sicilia e, in generale, nel Mezzogiorno d’Italia? come difendersi dall’ondata di cibi non sempre eccezionali, provenienti da mezzo mondo, che tentano di imporci massacrando i nostri prodotti, come sta avvenendo con il grano duro siciliano, pugliese e, in generale, meridionale? come impedire che multinazionali e Grande distribuzione organizzata finiscano di distruggere quel poco che resta dei negozi artigianali?

Anche di questo si è parlato sabato scorso a Palermo, nel corso del convegno su Questione monetaria, nuove politiche contro il finanzcapitalismo, elezioni comunali ed elezioni regionali 2017”, organizzato da Beppe De SantisGià abbiamo raccontato di questo appuntamento, che ha visto la presenza, nel capoluogo siciliano, di alcuni dei più importanti economisti ‘sovranisti’ italiani.

(Qui l’intervista al professore Ernesto Screpanti, docente di economia politica all’università di Siena).

(E qui l’intervento di Franco Busalacchi, titolare di questo blog)

Interessante anche l’intervento dell’economista siciliano, Antonio Piraino. Che ha lanciato un allarme: a fronte di una Regione siciliana indolente, amministrata da un Governo regionale fragile, incapace di difendere la Sicilia, la nostra Isola subisce una sorta di colonizzazione in materia di cibo. Per non parlare delle multinazionali hanno gettato gli occhi sul potenziale delle energie alternative che si possono produrre in Sicilia, che hanno un potenziale che Piraino ha stimato in 25 miliardi di Euro.

L’economista ha spiegato che il sole della Sicilia ci mette nelle condizioni di produrre energia alternativa meglio di quanto, ad esempio, si fa nella Mitteleuropa. Ma fino ad oggi non abbiamo sfruttato questa grande opportunità.

Nella sanità, ha raccontato sempre Piraino, la Regione siciliana spende ogni anno circa 400 milioni di Euro per far curare i cittadini siciliani fuori dalla nostra Isola.

Da qui la conclusione di Piraino: se vogliamo rilanciare l’economia siciliana dobbiamo incidere sui comportamenti. A cominciare dal consumo di beni alimentari.

Oggi proveremo a parlare del primo aspetto sottolineato da Piraino: l’agro-alimentare. E cioè del fatto che buona parte dei cibi che si consumano in Sicilia non sono prodotti nella nostra Isola, con buona pace della dieta mediterranea.

Cosa, questa, assurda per la qualità dei cibi che la nostra agricoltura offre ai Siciliani. E’ normale che nella Regione che dovrebbe essere l’esempio della dieta mediterranea si consumino, in maggioranza, cibi che arrivano da chissà dove?

Prendendo spunto dall’intervento di Piraino – ma anche del titolare di questo blog, Franco Busalacchi, che tempo invita i Siciliani a mangiare siciliano – proveremo a dare qualche consiglio ai nostri lettori: consigli pratici sull’agro-alimentare.

Nessun consiglio radicale, sia chiaro: solo qualche accorgimento per combattere, ‘dal basso’, la logica delle multinazionali.

Le multinazionali che operano nel mercato agro-alimentare sono forti, potenti e prepotenti. Ma hanno un punto debole che i cittadini siciliani e, in generale, meridionali, possono utilizzare al meglio: la scelta, cioè l’acquisto dei cibi.

Un punto l’abbiamo già sottolineato: l’importanza di privilegiare i cibi siciliani e, in generale, prodotti nel Sud Italia, rispetto a quelli del Centro Nord Italia e, soprattutto, rispetto ai cibi prodotti all’estero o – nel caso di cibi lavorati come la pasta – prodotti con grano duro estero.

Ricordiamoci che questa è una battaglia che deve coinvolgere tutti i cittadini del Mezzogiorno d’Italia che, ancora oggi, dopo oltre 150 anni, vengono derubati dal Centro Nord Italia, con l’appoggio di un Governo nazionale che non è quasi mai nostro ‘amico’. Non dimentichiamo i fondi europei e i fondi nazionali per il Sud non spesi che vengono ‘riprogrammati’ da Roma e dirottati, in buona parte, nel Centro Nord Italia.

Siccome, sistematicamente, i Governi nazionali fanno gli interessi del Centro Nord, noi meridionali dobbiamo avere l’intelligenza di difenderci privilegiando i nostri prodotti rispetto ai loro prodotti. Facciamo pesare, a questi signori, la nostra capacità di incidere sul mercato di consumo di beni alimentari con le nostre scelte. 

Proviamo, adesso, a illustrare qualche esempio pratico.

Cominciamo da un alimento base di noi meridionali: la pasta. Questo blog batte spesso su questo tasto. Se vogliamo contrastare lo strapotere delle multinazionali, la prima regola è: non acquistare più pasta industriale. I Nuovi Vespri hanno già indicato ai siciliani alcune aziende dove poter acquistare la pasta artigianale siciliana. Bisogna organizzarsi ancora meglio, e puntare sull’acquisto di pasta artigianale della nostra Isola.

Ricordatevi che la pasta artigianale siciliana – e, in generale, la pasta artigianale prodotta in tutto il Sud Italia – non contiene né glifosato, né micotossine DON. E non contiene glutine in eccesso. Provate a fare qualche sacrificio in più – anche di ordine economico, perché la pasta artigianale costa un po’ di più – ma ne avrete un grande beneficio, perché mangerete una pasta sana e, nel caso di bambini, gli eviterete problemi negli anni successivi (per esempio, la sensibilità al glutine o Gluten sensitivity: qui potete approfondire questa patologia).

Se proprio non potete fare a meno di acquistare la pasta industriale, scegliete la pasta prodotta dalle piccole industrie siciliane, la pasta prodotta dalle piccole industrie pugliesi e via continuando con tutte le altre Regioni del Mezzogiorno d’Italia.

Sappiate che, da qualche tempo, gruppi lombardi e piemontesi producono pasta con i grani antichi siciliani. La cosa ci fa piacere: almeno producono buona pasta. Noi, comunque, privilegiamo la pasta fatta con i grani duri antichi siciliani prodotta in Sicilia.

Provate anche ad acquistare la farina locale per fare la pasta in casa: sarà l’occasione per riscoprire una bella tradizione.

Per il pane non c’è bisogno di fare chissà che cosa. Solo una regola generale: privilegiare il pane dei panifici rispetto al pane che vendono presso i punti vendita della grande distruzione organizzata. Se poi dobbiamo acquistare il pane ‘industriale’ presso i supermercati, appuriamo, prima, che sia prodotto in Sicilia nel caso della Sicilia, in Puglia nel caso della Puglia, in Basilicata nel caso della Basilicata e via continuando.

Questa è una regola generale: là dove ci è possibile dobbiamo tornare a privilegiare l’acquisto di cibi nei negozi artigianali. Ricordiamoci anche che la Grande distribuzione organizzata è controllata da gruppi nazionali o internazionali che non hanno nulla a che spartire con la Sicilia e, in generale, con il Sud Italia. Insomma, per dirla tutta, gli utili di questi gruppi non vengono investiti in Sicilia e, in generale, nel Sud Italia. 

Quindi, per aiutare la nostra economia – l’economia della Sicilia e in generale, l’economia del Sud Italia – lo ribadiamo, è meglio privilegiare, negli acquisti di cibo, i negozi artigianali e i mercati locali a km zero.

Ciò non significa abbandonare i supermercati e, in generale, la grande distribuzione organizzata. Sappiamo tutti benissimo che, spesso, con i ritmi di lavoro, la grande distribuzione organizzata è una comodità.

Ma possiamo utilizzare noi la grande distribuzione organizzata e non farci utilizzare dalla Grande distruzione organizzata. Come?

Semplice: scegliendo alimenti con oculatezza, evitando, là dove è possibile, di acquistare cibi prodotti nel Nord Italia e all’estero. O cibi che fanno parte della nostra tradizione, ma che vengono preparati con prodotti agricoli esteri. Esempio – lo ribadiamo – la pasta industriale prodotta con il grano duro estero, per lo più canadese, ma anche ucraino.

Facciamo altri esempi.

Sul riso non abbiamo molta scelta. Ricordiamo che anche in Sicilia si coltivava il riso. Dopo l’Unità d’Italia casa Savoia decise che il riso si doveva coltivare solo in Piemonte e nel Nord Italia. E così è stato. Anche se – così si dice – sembra che l’abbandono del riso, in Sicilia, sia legato anche ai cambiamenti climatici (clima che, da sub-tropicale umido sarebbe diventato sub-tropicale arido) e, soprattutto, alla bonifica integrale di grandi aree del nostro Paese voluta dal regime fascista con una legge del 1936 (la legge Serpieri). Con la scomparsa di quasi tutte le aree umide e paludose della Sicilia sarebbe venuta meno la possibilità di coltivare il riso.

Da qualche anno si sta provando a tornare a coltivare il riso in Sicilia, e precisamente a Leonforte, in provincia di Enna.

Per la cronaca, va detto che il riso è coltivato anche in Sardegna. L’occasione per dare una mano ai sardi acquistando il loro riso.  

Ortaggi e frutta. Meglio se li acquistiamo nel negozio artigianale vicino casa o nel mercato cittadino a km zero: così abbiamo la certezza che il denaro che spendiamo rimane, quanto meno per un altro ‘giro’, in Sicilia.

Se siamo costretti dalla frenesia della vita ad acquistare gli ortaggi e frutta al supermercato, accertiamoci che siano siciliani o, al massimo, prodotti nel Sud Italia.

Ricordiamoci che i gestori della grande distribuzione organizzata sono obbligati a indicare l’origine di un prodotto. Se non lo fanno possiamo chiedere spiegazioni al direttore del punto vendita. In assenza di indicazione del luogo di origine, è meglio evitare gli acquisti.

Un’altra regola generale da seguire è la stagionalità: proviamo ad acquistare ortaggi e frutta di stagione. Questo perché la frutta e gli ortaggi coltivati in pieno campo contengono meno residui di pesticidi rispetto alle coltivazioni in serra.

Pomodori: privilegiamo quelli siciliani. Ma vanno bene anche quelli prodotti nel resto del Sud Italia.

Arance e limoni: non c’è bisogno nemmeno di dirlo, perché in Sicilia sono eccezionali.

Uova. Capitolo spinoso. In tanti allevamenti di polli l’uso di antibiotici è generalizzato. Se vi è possibile, acquistate le uova nei mercati contadini.

Nei giorni scorsi abbiamo scritto un articolo sulle angurie, che è stato molto letto (che potete leggere o rileggere qui). Abbiamo invitato i nostri lettori a diffidare della angurie che si trovano nei supermercati a fine aprile a maggio. Lo ribadiamo: in buona parte arrivano dall’Egitto e non sappiamo nemmeno come vengono coltivate. E non hanno il sapore delle angurie siciliane.

Insomma, per le angurie, aspettiamo fine giugno, luglio, agosto e la ‘coda’ di settembre. E accertiamoci, prima di acquistarle, che sono state prodotte in Sicilia.

Discorso analogo per la frutta estiva. Buona parte della frutta estiva presente oggi in Sicilia arriva dal Nord Africa e chissà da quali altri luoghi. Viene prodotta a costi molto più bassi con una concorrenza sleale che penalizza gli agricoltori siciliani. Spesso la frutta estiva che arriva dall’estero non ha sapore. Che fare? Intanto non bisogna acquistarla nei supermercati che non ne indicano la provenienza.

Dopo di che, per la frutta estiva – per esempio per le susine – è meglio acquistarla nei mercati contadini a km zero o – se ne avete la possibilità – direttamente dagli agricoltori.

Pere: privilegiare quelle prodotte in Sicilia, acquistandole nei mercati contadini.

Discorso a parte per la frutta secca. Ne abbiamo già parlato in un articolo (che potete leggere qui). E’ in atto un tentativo di distruggere la frutta secca siciliana, travolta, per esempio, da importazioni di mandorle e noci dalla California. In attesa che la politica siciliana cambi corso e che dell’agricoltura si occupino persone competenti, pronte a rilanciare i nostri prodotti, noi possiamo provare, là dove è possibile, a consumare la frutta secca accertandoci che sia prodotta in Sicilia.

Il miele è meglio acquistarlo nei mercati contadini a km zero.

Sul mais c’è una grande confusione: in alcune aree del mondo il mais geneticamente modificato è la regola. In Europa gli OGM (Organismi Geneticamente Modificati), in teoria, sono banditi. In realtà, non sappiamo cosa succede. Il nostro consiglio? Non acquistate mais e derivati del mais se non siete sicuri della provenienza.

Latte: proviamo a privilegiare quello siciliano.

Olio d’oliva extra vergine: il 2016 è stato un dramma, perché la produzione ha subito un calo del 50-60%. L’olio d’oliva extra vergine a 4 Euro a bottiglia che circola ancora oggi è quello dello scorso anno. Con molta probabilità, non è italiano. Ricordiamoci che l’Unione Europea ci ha ‘regalato’ 90 mila tonnellate di olio d’oliva tunisino prodotto non sappiamo come…

Ricordatevi, soprattutto, che una bottiglia di vero olio d’oliva extra vergine non può costare meno di 6-7 Euro. Mentre a ‘bocca di frantoio’ il prezzo dovrebbe scendere di almeno due Euro. 

Nel 2017 si prevede una buona produzione di olio d’oliva extra vergine. Il nostro consiglio: acquistate l’olio d’oliva extra vergine a ‘bocca di frantoio’, cioè direttamente nei frantoi.

Se proprio non potete fare a meno di acquistare l’olio d’oliva extra vergine al supermercato, scegliete un prodotto siciliano, o pugliese e, in generale, del Sud Italia. Per due motivi. Primo: perché dovrebbe offrire più garanzie. Secondo: perché sosterrete l’economia meridionale.

Formaggi e salumi. Non possiamo fare molto, soprattutto per i salumi. Ma possiamo fare qualcosa per i formaggi, privilegiando, là dov’è possibile, i formaggi siciliani e meridionali.

Caffè. Anche nell’acquisto del caffè – che arriva tutto dall’estero – proviamo a privilegiare i gruppi siciliani e, in generale, meridionali.

Stesse regole per tutti gli altri alimenti: là dov’è possibile, privilegiare i nostri prodotti rispetto a quelli esteri o del Centro Nord Italia.

Insomma, cambiando i nostri comportamenti, piano piano, possiamo incidere sulla spesa per alimenti. per ora, come già ricordato, su 13-15 miliardi di Euro che i Siciliani spendono per i cibi, solo 2 miliardi sono spesi per cibi prodotti in Sicilia.

Se – come ha suggerito l’economista Antonio Piraino – cominceremo a cambiare i nostri comportamenti, parte dei 10-12 miliardi di Euro che oggi lasciano la Sicilia potrebbero, almeno in parte, restare in Sicilia. Dipende da noi: da come orienteremo i nostri acquisti.

Già far restare in Sicilia, nel giro di qualche anno, 2-3 miliardi di Euro potrebbe essere un grande successo.

Fine della prima puntata (nella seconda puntata parleremo di energie alternative e sanità) 

 

 

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