Il professor Screpanti: “Ripresa impossibile con l’euro. L’Italia si salva fuori dall’UE”

13 maggio 2017

L’intervista/ Docente universitario e autore del libro ‘L’imperialismo globale e la grande crisi’, oggi a Palermo per il convegno sulla sovranità monetaria, ha spiegato in modo chiaro il perché di una crisi che sembra eterna e perché dobbiamo abbandonare al più presto l’Unione europea. Con conseguenze che tutti ci auguriamo…

“Il problema non è se uscire dall’euro. Il problema è decidere quando e, secondo me, prima lo facciamo e meglio è”. Non ha più dubbi Ernesto Screpanti, docente di Economia Politica all’Università degli Studi di Siena e autore di tanti lavori sul capitalismo finanziario che attanaglia l’Europa. Tra questi, L’imperialismo globale e la grande crisi in cui analizza gli effetti della perdita di sovranità monetaria e autonomia politica degli Stati. Oggi lo abbiamo incontrato a Palermo, in occasione del convegno Questione monetaria, nuove politiche contro il finanzcapitalismo, elezioni comunali ed elezioni regionali 2017” in scena al Don Orione di via Pacinotti, organizzato da Beppe De Santis, che vede la partecipazione di economisti arrivati da tutta Italia e di esponenti dei movimenti sicilianisti (qui il programma).

Il suo intervento ha colpito per la chiarezza con la quale ha affrontato temi di carattere economico rendendoli comprensibili a tutti. La sua posizione è chiara: è l’euro la sventura italiana. Ma anche l’Unione europea. Vediamo perché.

Professore, dopo 16 anni di unione monetaria possiamo tracciare un bilancio.  Che per lei è negativo, giusto?

“E’ sotto gli occhi di tutti. Anche solo paragonando questi anni agli anni 90, che pure non sono stati i migliori, vediamo che l’economia è peggiorata: è aumentata la disoccupazione, non solo in Italia e in Sicilia, ma in tutta Europa. E’aumentata  la povertà assoluta e la povertà relativa. C’è stato un aumento della diseguaglianza, un processo di proletarizzazione delle classi medie, le piccole imprese chiudono, un peggioramento della stato sociale, dalla sanità alla scuola, dalla previdenza alle università. Per non parlare del peggioramento delle condizioni di lavoro, dell’ aumento della precarietà, dell’incertezza finanziaria e non solo degli investitori, ma anche delle famiglie grazie all’idea imposta dalla Germania, parlo del Bail-in, secondo cui, se una banca fallisce, devono pagare i piccoli risparmiatori. Se poi guardiamo il tasso di crescita del Pil di tutti i Paesi europei e lo confrontiamo con quello degli anni precedenti all’unione monetaria, ebbene, anche questo è peggiorato. E si è creato un divario crescente tra Paesi del Nord Europa e quelli del Sud Europa con i primi che hanno avuto una crescita nella media e i secondi al di sotto.

Insomma, una situazione disastrosa. Per l’Italia in particolare?

“Non solo. Ma indubbiamente per l’Italia c’è stato un vero crollo dell’economia. I peggiori anni di tutta la nostra storia, paragonabile solo a quelli del periodo delle due guerre. Dal 2008 ad oggi, la crescita del Pil dell’Italia  è stata dello 0,75%. Nessun altro Paese ha avuto una performance così negativa”

Ma come è che siamo arrivati a questo punto? 

Il professor Screpanti durante il suo intervento

“In due parole, globalizzazione e mercantilismo. Da una parte abbiamo assistito ad  un processo di internazionalizzazione delle imprese che delocalizzano, creando una competizione a livello globale, costringendo, dunque, altre imprese  a delocalizzare per reggere la concorrennza, Dall’altro, il mercantilismo degli Stati, il tentativo di proteggere le proprie imprese contro gli interessi del commercio globale. E all’interno di questi processi tutta una serie di comportamenti sleali. Prendiamo, ad esempio, la Cina, che ha avuto una crescita spaventosa, ma basata su tre forme di dumping: salariale, ambientale e fiscale. Ha ridotto il costo salariale, non ha imposto vincoli di protezione ambientale e ha favorito le imprese con una fiscalità bassa. Sono più di 1500 le imprese italiane che hanno investito in Cina negli ultimi 20 anni, parliamo di quelle che vengono definite multinazionali tascabili”.

Come ci si è difesi da queste pratiche?

“Gli altri Paesi hanno risposto con forme di mercantilismo fiscale e salariale, la conseguenza è che la crescita dei salari è rallentata a livello globale. Attenzione: salari significa consumi. Che, di conseguenza, si sarebbero dovuti deprimere. Non è successo in America dove è stata introdotta la deregolarizzazione del sistema finanziario e una forte espansione monetaria. La crescita salariale, negli USA, è stata sostituita da indebitamento. Ed è proprio quella bolla immobiliare e finanziaria che ha sostenuto l’economia globale. La domanda è stata sostenuta dall’indebitamento. Questo ha consentito alla Cina di continuare con le sue esportazioni, mentre, grazie al surplus, acquistava azioni e obbligazioni negli Usa aumentando la bolla speculativa. Quando poi le famiglie americane non hanno avuto più i soldi da restituire è esplosa la crisi del 2007. Che si è estesa anche da noi. Dal 2008 ad oggi un periodo di depressione continua. Attualmente Cina e India continuano a crescere, ma la metà di quanto crescevano prima”.

Solitamente, mi corregga se sbaglio, le crisi vanno e vengono. Perché, invece, da allora l’economia non si è più ripresa?

“Non sbaglia. In effetti non ne siamo più usciti. Nonostante gli interventi delle banche centrali e nonostante gli Stati si siano affrettati a salvare le banche, con relativo aumento di debiti pubblici, il mercantilismo si è diffuso in tutti i Paesi. Prima erano solo Paesi come la Cina e Germania a praticarlo, dopo la crisi lo hanno praticato tutti”.

Come?

“Con le svalutazioni competitive: dollaro, sterlina, yen, euro. Tutti hanno svalutato. Non solo. Molti governi, per riequilibrare i conti esteri, in una situazione in cui l’economia è in ristagno e le esportazioni si riducono, hanno introdotto politiche fiscali restrittive per ridurre le importazioni. Lo ha fatto il Governo Monti che ha consapevolmente determinato una crisi per ridurre le importazioni. Adesso la bilancia commerciale italiana è in surplus dal 2013, ma è un modo perverso per riequilibrare i conti esteri. Ridurre i consumi significa impoverire il Paese. Un’economia trainata dalle esportazioni e non dai consumi provoca danni. Lo hanno fatto tutti i Paesi. Questa è la ragione di fondo per cui siamo entrati in una depressione profonda”.

E l’Unione europea?

“L’Europa, e quando parlo di Europa parlo di Germania, ha reagito a modo suo. Ponendo agli Stati vincoli sempre più stretti”.

Ci spieghi il ruolo della Germania.

“La Germania fa politica per tutti gli Stati europei e lo fa difendendo gli interessi del capitale tedesco. Con le famose leggi Hartz ha voluto tenere sotto controllo la crescita salariale. I salari tedeschi sono alti rispetto ad altri, ma è la produttività a fare la differenza e lì resta più alta di altri Stati. La Germania fa il ‘gioco’ del ruba mazzo: rubo mercati al mio vicino, rubando il mazzo ai miei lavoratori. I suoi consumi interni non sono cresciuti molto e ha 2milioni e 700mila disoccupati così come tanti precari, ma ha imposto questo tipo di politica a tutti e ha un surplus commerciale enorme. Se il Pil tedesco è trainato dalle esportazioni e non dai consumi interni, non fornisce adeguata domanda per le esportazioni italiane e spagnole. Italia e Spagna devono dunque a loro volta fare politiche fiscali restrittive per potere competere”.

Ma continuano a tiraci le orecchie…

“Dopo l’ultima manovra imposta al Governo italiano, Moscovici dice che l’Italia cresce poco. Una cosa incredibile: ci prende in giro?”

Eppure la Germania accusa Draghi di aiutare l’Italia con la politica espansiva. 

“Draghi ha aiutato l’euro, non l’Italia. Ma il problema è proprio questo: a dettare legge per tutti sono la Germania e la BCE che non risponde a nessun Parlamento, a nessun popolo”.

Come si affronta una situazione del genere, ovvero una economia, quella italiana, che non vede luce?

“Non ho dubbi. Fino a cinque anni fa non ero così convinto, oggi lo sono: uscire dall’Unione europea, non solo dall’euro. Restare nell’Ue significherebbe comunque sottostare ai diktat. Bisogna riacquistare una completa sovranità monetaria, fiscale e industriale. La Banca d’Italia deve tornare a creare moneta sotto il comando del Ministero dell’Economia come accadeva prima del 1981. Se il governo decide di fare una politica espansiva, abbassando le tasse e aumentando gli investimenti pubblici, la Banca d’Italia deve essere pronta a finanziare il deficit. Alle condizioni decise dal governo. Questa condizione c’era negli anni dei miracoli economici: negli anni ’50 e negli anni ’70”.

Qualcuno parla di rischio default.

Alcuni relatori della sessione mattutina del convegno. Da sinistra: Ernesto Screpanti, Massimo Costa, Beppe De Santis, Moreno Pasquinelli, Franco Busalacchi

“Con la sovranità monetaria si azzera il rischio default. Il Giappone ha il più grosso debito pubblico del mondo (253%) che si finanzia ad un costo bassissimo e i mercati sanno che non può fallire. La sovranità monetaria rimuove ogni vincolo interno alle politiche fiscali. Ed è questa la soluzione”.

C’è chi paventa il disastro se usciamo dall’euro.

“Il disastro lo stiamo vivendo ora. Abbiamo perduto il 25% della produzione industriale, un quarto. Questo è drammatico. Del Pil italiano abbiamo già parlato. Il problema, lo ribadisco, non è più se uscire, ma quando uscire. Probabilmente saremo costretti ad uscire da una crisi che già in molti paventano. Gli speculatori internazionali stanno scommettendo sul default dell’Italia. Hanno già messo in conto l’uscita e la  ridenominazione del debito dall’euro alla lira. Lo spread tra titoli italiani e tedeschi è di 200 punti, ma è la BCE che interviene per non farlo salire. Se così non fosse schizzerebbe, la crisi sarebbe inevitabile e i titoli sarebbero spazzatura. Draghi continuerà ad acquistarli, ma le pressioni della Germani sono forti. Probabile che nel giro di qualche mese si dovranno fermare le politiche espansive e la crisi esploderà”.

Quindi?

“Meglio governarlo questo processo di uscita. Gli speculatori si aspettano l’uscita dall’euro ed è quello che si deve fare. Non c’ è alternativa, nemmeno con le monte complementari, servirebbero solo in una fase di transizione”.

Che succederebbe in pratica?

“Ci sarà una crisi? Certo, e lo sappiamo perché ci bombardano tutti con un vero e proprio terrorismo mediatico. Ma la durata e l’intensità dipendono dal governo. Un governo intelligente potrebbe minimizzare gli effetti della crisi che sarebbe anche utile perché potrebbe essere l’occasione per abbattere il debito pubblico. Se i mercati scommettono sul default, vuol dire che si abbassano i valori dei titoli e il governo se li potrebbe ricomprare abbattendo il debito. E’ una guerra del popolo italiano contro gli speculatori e va combattuta. In ogni caso, bisogna confrontare la situazione in cui ci troviamo da 10 anni – e che durerà per altri 10 anni almeno – con una crisi che può durare anche un anno, ma che ci liberebbe definitivamente da ogni vincolo che si traduce in impoverimento del Paese. Con le politiche espansive l’economia si riprende”.

Come la prenderebbe la Germania?

“Andrebbe su tutte le furie, l’uscita dell’Italia e di altri Paesi creerebbe problemi alle sue banche. Ma risolverebbe i problemi degli altri Paesi, Italia in primis”.

Si è fatto una idea, anche dal dibattito di oggi, del futuro della Sicilia?

“La Sicilia la vedrei bene in una federazione del Sud Europa con un governo che faccia gli interessi di tutte le regioni. Consideriamo che se l’Italia uscisse metterebbe in difficoltà anche Francia, Spagna e gli altri Paesi del Sud che sarebbero costretti ad uscire. Inizialmente ci sarebbe una guerra commerciale.  Ma ci vuole coraggio, in ballo c’è il futuro di tutti noi”.

 

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