Il grano duro e la pasta: cosa dare e cosa non dare a mangiare ai bambini

19 marzo 2017

Il tema è stato affrontato nei giorni scorsi durante di un convegno che si è tenuto a Genzano di Lucania. In questo articolo noi riportiamo le considerazioni del professore Ruggero Francavilla pediatra e gastroenterologo dell’Università di Bari, uno dei massimi esperti in Italia in questa materia. L’assunzione quotidiana di sostanze tossiche non dà effetti negativi immediati nei bambini. Le patologie si manifestano più avanti nel tempo, magari dopo i vent’anni o in età adulta  

Questo blog affronta spesso il tema del grano contaminato. Un problema che tocca da vicino l’Italia, Paese dove il consumo di derivati del grano duro – pasta, pane, farine, semole, dolci e via continuando – è cinque volte maggiore rispetto al resto d’Europa. Ebbene, una parte della popolazione, rispetto a questo problema, merita un capitolo a sé: stiamo parlando dei bambini, ai quali la presenza di sostanze inquinanti crea problemi che, spesso, vengono sottovalutati.

Come i lettori che ci seguono ricorderanno, quando abbiamo pubblicato i risultati delle prima analisi su otto marche di pasta voluti da GranoSalus:

GranoSalus: i risultati delle analisi sulla pasta Barilla, Voiello, De Cecco, Divella, Garofalo, La Molisana, Coop e Granoro 100% Puglia

abbiamo raccontato di due marche di questo alimento che non andrebbero date ai bambini.

E allora: cosa dare da mangiare ai bambini? E, soprattutto, come tutelare la loro salute? Il tema è stato affrontato nei giorni scorsi a Genzano di Lucania, nel corso di un convegno organizzato dal Movimento 5 Stelle locale. Al convegno erano presenti studiosi e anche i rappresentanti di GranoSalus, l’associazione che vede insieme in un progetto di rilancio del grano duro i produttori di questa coltura del Mezzogiorno d’Italia e tanti consumatori.

Noi, oggi, riporteremo alcuni passi dell’intervento del professore Ruggero Francavilla, pediatra e gastroenterologo dell’Università di Bari, considerato uno dei maggiori esperti in Italia in materia di nutrizione. Sono dichiarazioni che abbiamo letto su ALTA LIFE Altamura Excellence.

Il titolo dell’articolo già ci introduce subito nel tema: “Il cibo complice del nostro destino”

“La salute del bambino – ha detto Francavilla – inizia dalla pancia della mamma”. Stando a uno studio effettuato in America che il docente universitario ha illustrato nel corso del convegno, “nel sangue delle donne in gravidanza analizzate sono stati trovati almeno 4 contaminanti tra cui, 89% mercurio, 100% piombo, 83% pesticidi e altri quanto basta per esporre il feto a rischio contaminazione. Il bambino è un soggetto particolarmente vulnerabile, e non è affatto un piccolo adulto – ha affermato il professore Francavilla -. Infatti, l’intestino di un bambino ha una capacità assorbitiva molto maggiore di quella di un adulto. A parità di contaminanti negli alimenti, egli ne assume quattro volte di più, e siccome nel sangue del bambino non ci sono ancora le proteine che servono a legare le sostanze tossiche e a non renderle disponibili alla circolazione, egli si contamina più facilmente. Come pure per tutti gli altri organi”.

“Sostanze come la diossina, i pesticidi, che tendono ad essere liposolubili, si accumulano molto più facilmente nel tessuto grasso del cervello che non nell’adulto – ha spiegato il docente universitario -. A sua volta, il fegato non ha la capacità di metabolizzare e di eliminare le sostanze nocive e tale capacità è zero nel feto. Così come anche il rene, non ha la capacità di filtrare tali sostanze”.

Da qui un primo concetto molto importante che ci riporta al titolo dell’articolo: “Il cibo complice del nostro destino”. Infatti l’assunzione quotidiana di sostanze tossiche non dà effetti negativi immediati nei bambini. Le patologie si manifestano più avanti nel tempo, magari dopo i vent’anni o in età adulta.

Discorsi inquietanti, che non tutti conoscono, scrive l’autrice dell’articolo. Il professore Francavilla non si tira indietro:

“E’ vero – dice il docente universitario -. I contaminanti tossici lavorano in maniera così silente e a lungo raggio di azione da non sospettare le mamme e farla franca. Non è così per ricercatori e studiosi che da anni studiano la presenza di contaminanti nel cibo e ne denunciano la loro pericolosità. Lo stesso Ministero della Salute fa rifermento al regolamento europeo 1881/06 per mettere ordine nell’alimentazione a cominciare da quella dell’infanzia. Oggi parliamo di grano. Parliamo di micotossine, altettanto nocive al pari dei pesticidi. Il regolamento in questione stabilisce che, ad esempio, il DON, acronimo di Deossinivalenolo, deve arrivare al massimo a 200 ppb, mentre per noi adulti a 750 nella pasta e 500 ppb nel pane”.

Ma non sempre è così, fa notare l’intervistatore. Perché il mercato segue altre regole che non coincidono con quelle salutistiche.

“Assolutamente sì – risponde il professore Francavilla -. Purtroppo. Vorrei ricordare la campagna pubblicitaria di una nota azienda industriale, leader nel campo dell’alimentazione, che cominciò a produrre un formato di una pasta piccola con un valore di DON sui 340 ppb che veniva paragonata ad una pasta spacciata per bambini. Ci fu una grande battaglia legale che portò ad una sentenza che impose di scrivere sulla confezione dei piccolini che non era una pasta adatta ai bambini al di sotto dei 3 anni”.

Dopo di che il docente dell’Università di bari ricorda che, nel 2012, “il professore Alberto Ritieni, dell’Università degli Studi di Napoli, testando le paste scoprì che un quarto di quelle presenti in commercio aveva un valore di DON non adatto ai bambini. Diversi anni dopo Altroconsumo denunciò il rischio di contaminazione in un documento dal titolo ‘Che pasta?’ Lo stesso Carlo Bresa, direttore dell’Istituto Superiore di Sanità, avvertì che tale rischio era molto alto”.

Perché succede questo?, chiede la giornalista. La risposta del professore Francavilla ci riporta alle battaglie condotte da GranoSalus e anche da chi, come questo blog, lavora per fare chiarezza su un tema delicato:

“Perché il grano – risponde il docente con riferimento al grano duro che giunge in Italia con le navi – non sappiamo da dove arriva, e non lo sappiamo ancora. Pensi che solo il 23% è di produzione italiana, il 43% arriva dall’estero portato da grossi importatori, il 34% non è dichiarata la provenienza, ma quando è importato arriva dal Canada, dall’Uzbekistan, dall’Australia”.

Siamo arrivati dalle note dolenti di questi anni. Scopriamo – e a dirlo è un grande esperto – che solo il 23% è grano italiano. Il resto arriva dall’estero. Insomma: che cosa ci fanno mangiare questi industriali?

E poi una domanda molto opportuna posta dalla giornalista: un grano che viene da così molto lontano, come fa a costare meno di quello italiano?

Anche in questo caso il professore Francavilla non si tira indietro: “Sicuramente – dice – la qualità non è delle migliori. Ne sono più che sicuro. Vede, livelli di micotossine permessi nei vari Paesi sono di gran lunga più bassi di quelli previsti in Europa. Il Canada, ad esempio, permette il DON fino ad un valore di 1000 ppb per i loro animali, maiali e vitelli, l’Europa invece lo alza fino ad 1750 ppb per la sua popolazione. Quindi tutto quello che va oltre il limite previsto in Canada, lo esportano e ce lo prendiamo noi, e forse perché lo tagliamo lo consideriamo nostro. La storia è fatta di navi che partono dall’Australia e arrivano nel porto di Bari dopo aver circumnavigato l’Africa e, anch’io, non riesco a capacitarmi come quel grano dopo aver girato tanto il mondo e consumato tanto petrolio per arrivare qui, costi meno del nostro”.

Questa testimonianza è già stata formulata dal micologo Andrea Di Benedetto in questa intervista:

“Il grano canadese che arriva in Europa è un rifiuto speciale che finisce sulle nostre tavole”

Di Benedetto è uno degli studiosi tra i protagonisti di GranoSalus. Un lavoro, quello svolto da questa associazione, che il professore Francavilla dice di condividere:

“Condivido la mission di Grano Salus. Il dovere di informare alle esposizioni croniche a cui siamo sempre più sottoposti non vuol dire allarmismo, ma aiuta a rendere consapevole il consumatore, che non sa né minimamente immagina, delle sue scelte”.

A questo punto la giornalista formula una domanda diretta: come possiamo ridurre le esposizione alle micotossine?

“Per evitare contaminazioni e micotossine – risponde il docente dell’Università di Bari – bisogna scegliere il grano italiano. In particolar modo il grano delle Regioni del Sud Italia. Non per bravura, ma semplicemente perché agli agricoltori della Puglia, della Basilicata (e della Sicilia, aggiungiamo noi ndr) li aiuta il sole, li aiuta il fatto che al Sud non c’è umidità, e quindi non si formano tante micotossine quante quelle che si formano nella Pianura Padana, o peggio ancora nei Paesi al di sopra del 50 esimo parallelo come il Canada, dove l’essiccazione avviene in campo, attraverso l’uso del glifosato, che determina tra le altre patologie, la Gluten sensitivity. Suggerirei di scegliere prodotti ottenuti da coltivazioni biologiche che meglio di altre rispettano la buona pratica agricola e riducono l’esposizione alle micotossine e ad altri contaminanti tossici. Dal momento che non tutta la pasta che compriamo è per bambini, per loro è meglio affidarsi al ‘babyfood’, essendo sottoposto ad una rigida normativa. Prevenire è la parola d’ordine in pediatria perché prevenire è molto meglio che curare, dal momento che gli effetti collaterali negativi si presentano in età adulta.

IL professore Francavilla dà anche un consiglio: “Suggerisco di leggere il ‘Breviario di Resistenza Alimentare‘, il cui autore è Michael Pollan, uno dei più accreditati giornalisti americani in campo dell’alimentazione, che è riuscito a racchiudere in 64 regole d’oro alcune perle di saggezza sulla scelta degli alimenti, dettati dal buon senso e che la scienza ha poi confermato.

S invito della giornalista che lo intervista il professore Francavilla cita alcuni passi di questo volume:

“Partirei dalla frase ‘mangiate solo cibo che va a male’, perché è il meno contaminato; una mela staccata dall’albero dopo pochi giorni inizia ad ammalarsi, mentre quella comprata al supermercato, perché presa acerba, trattata in post raccolta, incerata, dura un anno, non si ammala. Chiedetevi il perché. La seconda frase è ‘evitate i prodotti con ingredienti che nessun essere umano terrebbe in dispensa’, io non tengo in cucina la gomma xantata, e poi ‘non comprate niente che abbia più di 5 ingredienti’ e, ancora, ‘pensate di andare a far la spesa con la vostra bisnonna e prima di comprare qualsiasi prodotto chiedete a lei: ma tu la mangeresti? E se vi fa la faccia perplessa non lo comprate. E per finire ‘pagate di più e mangiate di meno’. La qualità si paga. Abbiamo anche il vantaggio che mangiare meno fa bene alla nostra salute. Ma soprattutto, difendiamo i nostri bambini”.

Ecco l’articolo da dove abbiamo tratto l’intervista:

IL CIBO COMPLICE DEL NOSTRO DESTINO

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