I borborigmi anti-siciliani di Pietrangelo Buttafuoco: diamogli una brioche e una granita di mandorle!

19 febbraio 2017

Per capire la ‘profondità misterica’ del Buttafuoco-pensiero e, magari, per coglierne l’essenza bisogna scartare subito la tesi semplificatoria e volgare che dica balordaggini sull’Autonomia siciliana e insinuarsi, con pazienza, lungo i sentieri scoscesi del miluogo consacrato dell’anima sua. Solo allora si potrà comprendere che il fiele delle sue parole altro non è che l’assenza dell’innocenza necessaria per gustare una granita di mandorla catanese…

Vincendo una naturale ripugnanza, mi sono accostato, sine ira et studio all’ultima intervista di Pierangelo Buttafuoco, l’ennesima apocalittica invettiva “contra Siciliam Sicilianosque”. Non è stato facile, come non è stato facile contravvenire ad una mia regola di vita, sintetizzata nella massima: “La merda non si tocca”.

Mi sono interrogato durante la lettura su come fosse possibile che un siciliano potesse concepire tanto odio e provare  tanto disprezzo per i suoi conterranei e per la terra che “lo raccolse infante e lo nutriva”.

Ascarismo culturale? Autorazzismo? Snobismo? Provincialismo? Sdegnosa presa di distanze? Certo nel composto indigerito che si agita tormentoso nelle viscere di Buttafuoco c’è anche questo. Ma, leggendo e rileggendo, ho scoperto che c’è soprattutto amore, un amore grande per “il posto delle fragole”, per il miluogo consacrato dell’anima e per i suoi simili, che lo hanno tradito, e costretto all’esilio.

I suoi  borborigmi sono “gli spasimi dell’amore respinto”, l’affiorare insopportabile del ricordo straziante di chi, appena giovinetto, fu illuso e poi tradito da una ragazzina dai capelli corvini e gli occhi neri.

E ho immaginato il nostro truce fustigatore nella solitudine della sua sera fredda e piovosa contemplare con i lucciconi, il pollice in bocca e un paladino in braccio, una grande carta della Sicilia appesa alla parete del salotto di casa sua. Sapete, una di quelle carte allegre e colorate, in cui, per ogni posto della nostra Isola, c’è raffigurato qui un tempio, lì una cattedrale, o un teatro antico e poi aranci, ulivi, e fichidindia, muri a secco e carrettini, insomma tutta l’iconografia becera e affettuosa che segna gli odiosi stereotipi della nostra terra.

E ho capito.

Quello che manda fuori di testa Buttafuoco è l’avere perso l’innocenza necessaria per provare piacere nell’inzuppare una calda brioche con il capezzolo in una granita di mandorle.

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