Brexit: la Scozia reclama un altro referendum per l’Indipendenza

25 gennaio 2017

Adesso gli argini si sono rotti. La decisione della Corte Suprema di escludere Edinburgo dal voto sull’uscita dall’Ue ha fatto riesplodere la causa separatista. Le dichiarazioni del primo ministro, Nicola Sturgeon contro Londra. La voglia di restare legati a Bruxelles. E le distanze siderali della classe politica scozzese da quella siciliana

Edinburgo non ci sta. La decisione della Suprema Corte inglese che ieri ha dato la parola al Parlamento Westminster sulla Brexit, escludendo, però, qualunque potere di veto da parte delle Assemblee di Scozia, Galles e Irlanda del Nord, non è piaciuta al primo ministro scozzese, Nicola Sturgeon che, senza indugi, ha parlato della”necessità di un secondo referendum sull’indipendenza della Scozia dalla Gran Bretagna”.

Già all’indomani del referendum sull’uscita dall’Ue, l’ipotesi era tornata in voga. In Scozia, infatti, la scelta a favore della permanenza nella Ue aveva vinto con il 62% dei voti: il fatto che l’esito complessivo del referendum contraddicesse in modo così esteso la volontà degli scozzesi aveva di nuovo evidenziato la distanza tra il Paese e il Governo nazionale.

Ma le dichiarazioni sul tema, all’indomani del 23 Giugno, erano comunque dettate dalla prudenza: il governo di Edinburgo pensava fosse possibile una strada alternativa, un piano, cioè, che consentisse loro di rimanere nell’Ue a prescindere dal resto della Gran Bretagna.

La decisione dei giudici inglesi ha invece fatto venire meno ogni tentennamento e le istanze separatiste sono tornate in primo piano:

“La decisione della Corte Suprema pone una questione che va al di là del tema dell’adesione all’Ue- ha sottolineato  Sturgeon – la Scozia non può affidare il suo futuro ad un governo di Westminster sempre più di destra e con un solo esponente scozzese nel Parlamento”.

“La voce della Scozia – ha aggiunto la First Minister scozzese-non è stata ascoltata, i principi della devolution appaiono così senza valore”. E ancora: “Le dichiarazioni di Londra sulla parità della Scozia rispetto ai processi decisionali di Londra sono solo vuota retorica. Le promesse di Londra valgono meno della carta sulla quale sono state scritte”.

Insomma, la leader dello Scottish National Party (SNP, il maggior partito scozzese, al governo dal 2007) è arrabbiatissima:”E sempre più chiaro che la Scozia deve prendere in mano le redini del suo futuro”.

Quante chance di vittoria avrebbe un nuovo referendum per l’indipendenza scozzese?

Le previsioni, va da sé, lasciano il tempo che trovano (come dimostra proprio il caso Brexit per restare su territorio inglese), ma se è vero che che nel 2014 il referendum ha decretato la vittoria dei NO all’addio a Londra (per poco: 55%), è anche vero, ricorda il Governo di Edinburgo, che proprio il referendum sulla Brexit ha dimostrato che le posizioni di Londra sono lontani anni luce da quelle scozzesi.

Tra l’altro, come osservano alcuni analisti, uno dei cavalli di battaglia dei sostenitori del NO all’indipendenza fu proprio lo spauracchio di una uscita dall’Ue in caso di vittoria del Si. Paura alimentata dai vertici della Commissione europea che si rifiutarono di rassicurare l’allora primo ministro scozzese e capo dello Scottish National Party Scottish ,Alex Salmond, che pure aveva chiesto di restare nell’Unione nel caso a trionfare fossero stati i separatisti.

Oggi il quadro è completamente diverso. I vertici dell’UE sono furiosi con Londra, per l’inaspettata vittoria del Sì alla Brexit e per l’approccio del Governo May alla questione, e lo sono un po’ meno con gli scozzesi che, nonostante tutto, non vorrebbero tagliare il loro legame con Bruxelles.

La cosa non deve stupire. Si tratta di questioni economiche, non ideologiche. E la Scozia non è l’unica a volere l’indipendenza dallo Stato centrale ma restando nell’Ue. Lo stesso vale per la Catalogna, almeno per i partiti separatisti al Governo di Barcellona, come ci ha confermato in questa intervista un esponente di  Esquerra Republicana de Catalunya in visita a Palermo.

Oggi il tessuto economico scozzese è indebolito dalla crisi e, in particolare, da quella petrolifera: i giacimenti del Mare del Nord non sono più redditizi come una volta e mettere a rischio i fortissimi legami commerciali che intrattiene con l’Europa potrebbe essere un suicidio: il “Vecchio Continente” rappresenta infatti la meta principale dell’export Made in Scotland (circa il 46%), dando per di più lavoro a 330mila persone. La Scozia inoltre è stata in grado di attrarre oltre mille imprese comunitarie negli ultimi anni ed ha ricevuto generosi aiuti e fondi dalla Ue.

Come finirà?

Certo è che parlare di Scozia o di Catalogna fa risaltare ancora di più l’inutilità della nostra classe politica regionale. Anche la Sicilia, come sappiamo, è dotata di Autonomia, ma è come se non lo fosse, tranne per gli aspetti che più hanno fatto comodo agli ‘ascari’ (mercenaria) di memoria salveminiana.

Nessuno dei nostri governanti mostra il coraggio di opporsi alle decisioni romane contrarie agli interessi dei Siciliani, pur avendo uno Statuto- che ha valenza costituzionale- cui appellarsi.

Una palude che ha portato, anche da noi, ad un risveglio dei movimenti indipendentisti siciliani, quasi tutti, più o meno a favore dell’Ue, ma assolutamente determinati a liberarsi della politica coloniale romana.

Vedremo alle prossime elezioni se il loro messaggio è passato e se le croniche divisioni saranno superate nel nome di un interesse superiore. Certamente, dopo tanto tempo, giocheranno la partita delle regionali. E, certamente, almeno così sembra, rifiuteranno ogni alleanza con i partiti nazionali. Sarebbe, infatti, una contraddizione in termini allearsi con chi risponde alle segreterie romane.

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