Gennaio 1945: i moti del “Non si parte”. La Resistenza antimilitarista dei Siciliani

20 gennaio 2017

Si è discusso tanto (e a vanvera) della rivolta contro la leva obbligatoria che imperversò in tutta l’Isola nel Gennaio di 72 anni fa. Separatisti, comunisti, fascisti? Certamente non mancarono le varie ideologie riassumibili negli slogan: “Mai con i Savoia e mai con i fascisti” e non mancarono gli infiltrati, ma”solo un elemento fu preponderante: l’antimilitarismo, accanto al carattere popolare, antimonarchico e repubblicano”

Lo abbiamo detto più volte: sembrano condannati all’oblìo o alla sola lettura dei libri ufficiali molti fatti storici che riguardano la Sicilia, e il Sud in generale. Il caso più eclatante è sicuramente legato al Risorgimento, ma la storiografia moderna e molti intellettuali meridionali stanno cercando di rimediare recuperando pezzi di verità negate. Anche il nostro blog, come forse sapete, ha una sezione interamente dedicata all’argomento (Storia e Controstoria) che, a giudicare dai numeri, sembra molto apprezzata dai nostri lettori.

“Quando nel passato si ricercano le deficienze e gli errori non si fa storia, ma politica attuale” diceva Gramsci. Non è dunque un esercizio estetico fine a se stesso, o di conoscenza pura: è rivoluzione culturale, necessaria e doverosa.

Ma non è solo il Risorgimento ad essere stato avvolto dalla propaganda ufficiale. Anche i fatti del dopoguerra, che pure per la Sicilia sono stati particolarissimi e importantissimi, sono poco conosciuti, condannati dai pregiudizi, snobbati nella migliore delle ipotesi, e manco a dirlo, estranei a qualsiasi programma scolastico. Il perché è facilmente intuibile: la presenza di un movimento indipendentista nell’Isola, “forte e trasversale” fu causa di non pochi problemi per lo Stato italiano e per la nascente Repubblica e il suo annientamento passava anche da uno sradicamento delle sue radici culturali. Obiettivo raggiunto? E’ impossibile annientare un elemento costitutivo del DNA di un popolo, ma di fango ne è stato gettato parecchio. Anche di questo ci occupiamo nella sezione sopra citata.

Oggi, però, vogliamo ricordare alcuni fatti avvenuti nel Gennaio del 1945 che non parlano solo di separatismo, comunismo o fascismo (tutte forze ben presenti nella Sicilia del dopoguerra) ma di un altro carattere essenziale della Sicilianità: l’antimilitarismo. 

Il contesto è quello di una Sicilia in subbuglio che già subito dopo lo sbarco degli alleati aveva dato vita a numerose proteste contro la miseria, il caro vita e la prospettiva di finire, ancora una volta, nella categoria  ‘granaio’ di Roma. Tra le più tragiche e, forse, più note c’è la ‘Rivolta del Pane’ di Palermo, ve ne abbiamo parlato qua. 

Ma a provocare un vero e proprio incendio in tutta l’Isola fu la leva obbligatoria. Nel dicembre 1944 vennero richiamati alle armi i giovani nati nei primi anni ’20 e i Siciliani non lo accettarono. Sui muri delle città comparvero le scritte: “Non presentatevi”, “Presentarsi significa servire i Savoia”, e ovunque si improvvisavano comizi antifascisti e, soprattutto, antimilitaristi. Ebbero così inizio i moti dei “Non si parte”.

La scintilla parte da Enna, nel Dicembre del 1944, ma le altre province si unirono subito alla battaglia. A Catania gli eventi più sanguinosi: l’esercito italiano spara contro un gruppo di studenti che manifestava contro la leva obbligatoria, uno rimane ucciso, in Piazza San Domenico. A quel punto la rabbia della città esplose: la folla incendiò il Municipio, così come altri edifici pubblici, dalla sede del Banco di Sicilia, in via Vittorio Emanuele alla sede dell’agenzia delle imposte di via Ventimiglia (come riporta la relazione del CLN). La rivolta venne sedata con fatica e con numerosi arresti.

Da sottolineare che l’unico giornale che si pubblicava a Catania a quel tempo, Il Corriere di Sicilia, diretto dal sindaco Ardizzoni, non dedicò un rigo alla rivolta se non un breve comunicato della Prefettura….

A dare risalto ai fatti, furono le pubblicazioni separatiste. Sicilia Indipendente pubblicò un testo a firma di Mario Turri (pseudonimo del professor, Antonio Canepa) che parlava di un nuovo eccidio sabaudo in Sicilia. Un altro testo, a firma di Franco Gemma, specificava che i Siciliani mai si sarebbero arruolati per obbedire ai fascisti o ai Savoia (lo leggiamo sul libro Sicilia contro Italia di Salvatore Nicolosi, edito da Tringale).

Dopo i ‘fatti di Catania’, la sommossa imperverseva ovunque e con particolare furore nel ragusano. Raid a colpi di bombe a mano tentavano di riportare ‘l’ordine’. ll 4 gennaio, proprio a Ragusa, i militari operarono dei veri e propri rastrellamenti nei quartieri popolari per portare via i giovani in età di leva. Diversi manifestanti tentarono di impedirlo. Maria Occhipinti, una giovane protagonista della rivolta, si sdraiò incinta di cinque mesi davanti al camion carico di giovani per impedirne la coscrizione (l’eroina Siciliana è diventata  nel corso del tempo il simbolo di un popolo che non china la testa e a lei sono stati dedicati libri e un bel documentario di Luca Scivoletto). I militari reagirono sparando sulla folla, uccidendo un giovane militante comunista e il sacrestano Giovanni Criscione.

Ma il culmine si raggiunse a Comiso dove andò in scena una vera e propria rivoluzione. La cittadina fu resa inaccessibile per giorni all’esercito italiano dai suoi abitanti: venne proclamata la Repubblica di Comiso. Non mancarono morti e feriti, da un lato e dell’altro. Alla fine, la minaccia di fare intervenire pure l’aviazione americana (c’erano dei bombardieri USA a Licata) costrinse la città alla resa. Nonostante gli accordi, tutti i ribelli, circa 300, vennero arrestati e confinati a Ustica e Lipari, per essere amnistiati solo nel 1946 con la proclamazione della Repubblica italiana.

La sommosa che imperversava anche nella altre province fu sedata con gli stessi metodi.

E, dunque, chi erano questi ‘rivoltosi’? Anche qui abbiamo assistito ad un balletto di tesi che si sono rincorse per anni e molte parziali, se non strumentali.

Come leggiamo in un bell’articolo pubblicato dal sito dell’ANPI, “ancora oggi l’etichetta di rivolta filo fascista, ribadita per decenni dal PCI, pesa sugli eventi, pur essendo stata più volte smentita da studi e dalle testimonianze degli stessi protagonisti. Se inizialmente l’appello alla rivolta venne lanciato soprattutto da studenti – durante il fascismo esentati dal servizio militare fino ai 27 anni – successivamente i manifestanti affluirono da tutte le classi sociali, soprattutto da quelle popolari maggiormente colpite dalla situazione economica”.

“Certamente -prosegue l’articolo- i fascisti ebbero ogni interesse a sostenere la rivolta, sia per indebolire l’autorità del nuovo governo italiano, sia per far credere che la Sicilia fosse a favore della Repubblica di Salò. Tuttavia non si può ignorare che uno degli slogan dei rivoltosi fosse: “Non si parte, ma indietro non si torna!”, stando ad indicare il ventennio mussoliniano”.

Il PCI al potere arrivò dunque a negare che anche i suoi militanti in Sicilia avevano partecipato alla rivolta del “Non si parte”. Anni particolarissimi, non va dimenticato.

Chi erano, dunque?

“Erano tutti e nessuno- dice lo storico Nicolosi- e come in ogni moto del genere non sono mancati infiltrati, mestatori di vario segno”.

Certamente c’erano anche i separatisti e nelle scritte apparse sui muri in cui si specifica il no all’esercito sabaudo, la loro firma è evidente.

Erano tutti e nessuno, nel senso che più che la valenza politica è un altro l’elemento unificatore di questa rivolta:

“Anche gli indipendentisti – leggiamo sempre sul sito dell’ANPI- cavalcarono l’onda della rivolta dato che il movimento ebbe in sé differenti anime, tali da non permettere un’etichetta politica univoca. Solo un elemento fu preponderante: l’antimilitarismo, accanto al carattere popolare, antimonarchico e repubblicano”.

“Se oggi è ancora possibile rimettere in discussione l’indignazione e l’interpretazione che dal punto di vista politico ed emotivo suscitò la rivolta nel resto d’Italia è grazie alla tenacia di alcuni protagonisti dell’epoca, come la già citata Maria Occhipinti e l’anarchico Franco Leggio, i quali incessantemente, e fino alla loro morte, hanno raccontato, scritto e tenuta viva la memoria di quei giorni, rovesciando luoghi comuni e analisi superficiali, consegnando un ritratto prezioso della vita in Sicilia nella prima metà del ‘900. È la “microstoria” infatti che permette di cogliere l’essenza dei grandi eventi, mettendo in risalto sfumature fondamentali alla comprensione del tutto”.

Va da sé che i fatti si prestano sempre a numerose interpretazioni. Il nostro obiettivo è offrire letture alternative a quelle scritte dagli storici di corte. Non è certamente un lavoro esaustivo, ma già squarciare il muro di gomma della storia ufficiale è un passo.

ndr

Se volete inviarci le vostre riflessioni o i vostri punti vista su questi o altri fatti storici siete i benvenuti: inuovivespri@gmail.com

 

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