Danni all’agricoltura siciliana? Certo. Ma i 15 miliardi di Euro di fondi europei a cosa sono serviti?

11 gennaio 2017

Si tratta di risorse finanziarie stanziate dall’Unione Europea per la Sicilia dal 2001 ad oggi. Fondi pubblici che in parte non sono stati spesi e in parte sono finiti chissà dove. Perché si continua a non fare chiarezza su questa enorme massa di denaro pubblico? La sceneggiata dei finti agricoltori

In questi freddi e tristi giorni gli organi di informazione ci avviliscono con la descrizione di un’agricoltura in ginocchio. Intere coltivazioni affidate al capriccio (un po’ prevedibile, però) del meteo, invece che tutelate dalla moderna tecnologia, sono state perdute.

Certo, quando il maltempo si scatena c’è poco da fare. Per gli ortaggi di piano campo – carciofi, finocchi e via continuando – il freddo di questi giorni è stato esiziale.

Quello che sta succedendo con l’attuale ondata di maltempo – con richieste di risarcimento danni da parte degli agricoltori – ci sollecita qualche riflessione.

Dal 2000 ad oggi l’Unione Europea ha destinato all’agricoltura siciliana quasi un miliardo di Euro all’anno, quindi circa 15 miliardi di Euro (300 miliardi di vecchie lire).

Un buontempone ha fatto qualche calcolo e due ipotesi.

La prima: se, invece che in Sicilia, questi soldi fossero stati investiti per bonificare una superficie del Sahara pari a quella della nostra Isola, quello spicchio di deserto oggi sarebbe la riproduzione del Paradiso terrestre per come descritto nella Bibbia (Genesi, 8-14). Il tutto, per di più, fornito e dotato di tutti i miglioramenti della tecnologia più avanzata: antigelo, antinebbia, antipioggia e pro pioggia, impianti e vasche di irrigazione, impianti di riscaldamento e di raffreddamento, fertilizzazione biologica e naturale, competenze e professionalità umane al più alto livello in tutti i settori, scuole, dipartimenti universitari dedicati, formazione, studi e laboratori, ricerca avanzata, impianti di stoccaggio, silos, capannoni, capillare rete viaria di tutti i livelli, aeroporti e porti dedicati, reti telematiche di distribuzione e vendita in tutto il mondo e, non ultima, una vera borsa valori dei prodotti.

Se, tra chi mi sta leggendo, c’è gente del mestiere, capisce bene che tutto questo poteva e PUO’ farsi in Sicilia, basta cacciare via i ladri e i furbi.

La seconda ipotesi: se quei soldi fossero stati distribuiti con un minimo di criterio a tutti i siciliani con un reddito inferiore ai minimi INPS, la povertà in Sicilia sarebbe un ricordo.

E invece le cose, in realtà, stanno così: l’agricoltura siciliana sopravvive – e sopravvive nonostante i danni provocati dal maltempo di questi giorni – grazie ai pochi, veri agricoltori e ai circa 100 mila addetti che si levano la vita per andare avanti e per “campare” uno stuolo di parassiti, mentre la gran parte dei soldi è finita altrove, salvo qualche eccezione. Dove?

Una parte non è stata spesa per l’incapacità della politica di organizzare la burocrazia (o forse è cattiva volontà), e Bruxelles non l’ha versata.

Una parte si è dovuta restituire perché la spesa non era conforme ai regolamenti UE (e nessuno ha pagato i danni erariali).

Una parte se ne è andata in truffe colossali e false fatturazioni.

Una parte nella creazione di finti corsi di formazione, nella invenzione di progetti strampalati, impossibili e irrealizzabili, ma fruttuosi.

Una parte nella creazione di legioni di finti agricoltori, singoli e associati, tra cui parenti, amici, figli e fratelli di politici,  assessori e presidenti della Regione.

Quando, prima o poi, si andrà a fare una seria e implacabile indagine sui patrimoni dei politici che hanno “maneggiato” fondi per l’agricoltura, con lo stesso rigore col quale vengono condotte quelle sulle proprietà dei mafiosi e dei loro prestanome, si scoperchieranno i veri letamai della politica, siciliana e non.

Foto tratta da ilgiornaledelcibo.it

 

 

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