Il dubbio: è la globalizzazione dell’economia che vuole soffocare le Autonomie?

5 gennaio 2017

Dopo aver ragionato sul perché l’Italia non è mai stata unita (articolo che potete leggere qui), oggi proviamo a soffermarci su un’ipotesi che, se reale, renderebbe ancora più difficile il recupero dell’Autonomia siciliana che lo Stato ci ha già sottratto: l’omologazione imposta dalla globalizzazione. Quindi, oltre a liberare la Sicilia dagli ascari che hanno svenduto e continuano a svendere l’Autonomia, dobbiamo fronteggiare anche un’altra forma di sopraffazione. Lavorando per un’idea di Indipendenza che, solo se lo Stato vorrà porsi in condizioni di parità potrà, sfociare in una federazione tra uguali

L’epoca degli sconvolgimenti sociali e politici che richiedevano che le nazioni fossero continuamente mobilitate contro potenziali nemici esterni è finita da parecchio tempo, almeno in Europa, che è l’area che conta nel nostro ragionamento. Pertanto quella condizione di allerta permanente che rendeva incompatibili con la sicurezza dello Stato il rispetto e la  tutela delle diversità e delle minoranze  locali  dovrebbe essere cessato.

E’ a quelle esigenze che va fatto risalire il tradimento e la fellonia dello Stato italiano nei confronti della specialità statutaria, la cui carica eversiva, accettata, direi quasi subita strumentalmente per fare cessare la deriva separatista, fu disinnescata, da una parte con una serie di interventi di normalizzazione di tutte le norme fondanti del rapporto quasi di livello federativo che lo Statuto speciale costruiva tra la Sicilia e lo Stato italiano, e dall’altro con il rifiuto di dare corso ad altre norme fondanti.

L’assorbimento dell’Alta Corte nella neonata Corte Costituzionale con la conseguente scomparsa dei giudici di nomina regionale (ci torneremo), la fine del potere di emanare decreti legislativi, la cancellazione del potere di  registrazione con riserva  presso la Corte dei Conti, la mancata attuazione delle norme che attribuiscono per delega le residue competenze statali al Presidente e agli Assessori che diventano così i massimi rappresentati dello Stato italiano in Sicilia, il mancato trasferimento di poteri di polizia al Presidente della Regione, la dolosa e corriva sottrazione di risorse tributarie di spettanza regionale, il mancato rispetto degli obblighi derivanti allo Stato italiano dall’art 38 della Statuto sulla perequazione economica e sociale con il resto del Paese, sono tutte testimonianze univoche di una prevaricazione  dovuta, da un lato, alla mancanza di dignità e di serietà politica da parte dei rappresentanti dello Stato italiano e, dall’altro, alla mancanza di potere contrattuale della politica siciliana, potere che finì nei fatti con l’essere demandato ad una classe politica subalterna, allineata con quella nazionale e che non seppe, volle e non poté resistere al “ritorno” dello Stato  unitario, centralista e prevaricatore.

Una classe politica ed un sistema che hanno garantito la propria sopravvivenza e il titolo per perpetuarsi assecondando un processo di graduale emarginazione sociale e politica della Sicilia nei confronti con il resto del Paese.

Le vicende  parlamentari degli ultimi tempi, mi riferisco al tentativo di modifica della Costituzione, con il suo obbiettivo  di rafforzare la presa dello Stato sulle autonomia locali, di livello regionale, provinciale o comunale che fosse, devono fare riflettere.

E’ possibile che uno Stato si stringa a se stesso più che per difendere se stesso, per consentire ed agevolare  un’invasione nemica che dovrebbe contrastare?

E’ possibile che il mostro della globalizzazione, nemico per definizione delle particolarità, delle specificità e delle diversità, imponga con tutti i mezzi di cui dispone (enormi capitali, potenti gruppi di pressione, mezzi di comunicazione), forzi i governi nazionali per penetrare nei sistemi nazionali e piegarli all’uniformità?

La sovranità non è indivisibile. Ciò vale chiaramente negli Stati federali, ma anche negli Stati unitari che, obtorto collo, per motivi storici, politici, ideologici, ovvero strategici e strumentali, hanno dovuto cedere quote di sovranità al loro interno in un quadro che si vuole resti però fortemente unitario.

Che cosa è se non cessione, da un lato, e acquisizione, dall’altro, di quote di sovranità, la creazione in testa ad un soggetto di livello infrastatale della competenza esclusiva in determinate materie?

Se non che un soggetto è cittadino di due Stati?

E che cosa c’è di sbagliato in questa idea se la sua attuazione avviene in modo parziale, scorretto, da parte di politici inadeguati e incapaci?

Perché  buttare l’acqua sporca con tutto il bambino?

Noi siciliani siamo cittadini dello Stato italiano in tante  materie, ad esempio in quelle regolate dal codice civile, ma siamo cittadini siciliani in materia di autonomie locali, di lavori pubblici e in tante altre. Questa ricchezza, queste risorse sono state sprecate da una classe politica serva e ascara che ha sbracato nei confronti dello Stato che, passo dopo passo, ha ripreso le sue prerogative, quelle che aveva cedute. Il tutto convincendo i distratti e quelli in mala fede che è meglio così.

L’Autonomia regionale, proprio per come è stata declinata fino ad adesso, è morta, ma nemmeno lo Stato italiano sta tanto bene, tanto che ha dovuto fare ricorso ad un tentativo di prefettizzazione alla francese delle municipalità e delle regioni con una micragnosa, analitica, burocratica, angusta suddivisione di competenze tra il livello statale e quello sub-statale. La costituzionalizzazione del conto della serva.

Il fallimento di questo tentativo apre e impone nuovi scenari per una nuova autonomia che, sul fronte dei rapporti con lo Stato italiano, operi con intraprendenza, gelosissima delle sue prerogative e determinata  a  difenderle  davanti a tutti i tribunali, nazionali ed internazionali e, al suo interno, solidale, sussidiaria, cooperativistica, rispettosa dei valori di uguaglianza di tutti e di ciascuno di fronte alla legge e, cosa altrettanto importante, pensosa della creazione e della conservazione della uguaglianza delle condizioni e delle opportunità di partenza di tutti e di ciascuno.

Un lavoro in progressiva elaborazione ed arricchimento in direzione di una indipendenza siciliana che, solo se lo Stato vorrà porsi in condizioni di parità potrà sfociare in una federazione tra uguali.

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