La legge elettorale in Italia: ad uso e consumo dell’oligarchia al potere

20 dicembre 2016

Quello che sta succedendo in questi giorni confusi è incredibile. Ovvero una lotta meschina e miserevole tra bande che vorrebbero imporre agli avversari un meccanismo elettorale che le favorisca alle elezioni. Non c’è da stupirsi, se è vero che la ‘casta’ ha già calpestato la stagione referendaria degli anni ’90 con la legge elettorale Mattarellum e ignorando il referendum che ha sancito l’abolizione dei finanziamento ai partiti 

“La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nei modi e nei limiti  della Costituzione” (Art 1,II comma Costituzione).

Ma è davvero così?

L’esercizio principe della sovranità popolare è il voto, cui il popolo sovrano è chiamato in occasione di tornate elettorali e  nei referendum.

Se però dalla lettera dell’articolo della Costituzione passiamo al suo spirito, le cose cambiano e non di poco. Innanzitutto  scopriamo che, in realtà, la sovranità appartiene al corpo elettorale, che è cosa diversa e circoscritta rispetto al POPOLO. Sto parlando di milioni di persone che, essendo minorenni, o per altra causa, ma sono molti di meno, sono esclusi dall’elettorato attivo.

E questo è il minimo. Pur così ridotta, la volontà popolare dovrebbe essere legge assoluta, ma non sempre è così. Una volta esercitato il diritto di voto, e tornati a casa gli elettori, gli eletti teoricamente potrebbero approvare modifiche alla Costituzione, per esempio nella parte che stabilisce la durata delle assemblee legislative, prolungandole dai 5 ai 15 anni. La norma sarebbe costituzionale e tanti saluti al diritto di voto.

Ma non è necessario arrivare a tanto per somigliare ad una qualunque repubblica delle banane. Ho fatto questo esempio paradossale per rendere chiaro che il legislatore dispone di amplissimi poteri in materia di leggi elettorali, e che quindi se alla lettera della Costituzione non si affianca lo spirito che la “vivificat”, la “littera occidit”, come dice Paolo.

E’ stato il caso del Italicum che ha sfornato un Parlamento di nominati. Una legge incostituzionale che solo per iniziativa di pochi coraggiosi è stata emendata in senso costituzionale.

Lo spirito della Costituzione non vuole che la legge elettorale venga costruita ad uso e consumo e nell’interesse dell’oligarchia al potere. Essa deve essere la più democratica possibile e rispettosa della volontà popolare.

Stiamo assistendo in questo giorni confusi ad una lotta meschina e miserevole tra bande che vorrebbero imporre agli avversari un meccanismo elettorale che le favorisca alle elezioni. In tutto questo il cittadino non c’entra niente. Questo squallido teatrino sancisce con maggiore chiarezza la indifferenza della casta nei confronti dei “fuochi sulle colline” e dei “tamburi lontani” ovvero di tutti quei segnali che il popolo manda. E’ proprio vero che “il Signore acceca coloro che vuole che si perdano”.

E così c’è chi si schiera per il “votiamo a come egghiè”, chi vuole aspettare l’italicum emendato, chi vuole il ritorno al Mattarellum, chi vuole i ritorno al proporzionale puro.

Voglia di proporzionale saltami addosso. A volte ritornano. Il proporzionale, ecco un altro esercizio di sovranità popolare gettato nel cesso dalla casta.

Tutti hanno dimenticato la stagione referendaria degli anni Novanta del secolo scorso, caratterizzata dalla presentazione di referendum per la riforma elettorale di tipo anglosassone, maggioritaria, uninominale e a un turno, all’interno di una strategia che individuava nella riforma del sistema elettorale la chiave per la riforma dell’intero sistema politico, dato che il «proporzionale» rappresentava lo strumento tecnico su cui reggeva il sistema partitico e le formule dei governi di coalizione della Prima Repubblica italiana. Tutte cose che oggi non sembrano scandalizzare nessuno.

Altro referendum fu quello relativo al finanziamento pubblico dei partiti, ritenuto un meccanismo che tendeva ad aumentare il carattere oligarchico, burocratico, parastatale, consociativo dei soggetti politici.

Il 18 e il 19 aprile del 1993 l’elevato afflusso alle urne degli italiani (77%) e il successo dei quesiti costituì una svolta di notevolissima importanza. Era troppo per la casta.

La classe politica corse immediatamente ai ripari, stropicciandosene altamente della sovranità popolare e della volontà popolare.

Fu inventato il “maggioritario all’italiana”, della serie “vorrei ma non posso”, o meglio “potrei ma non voglio”. Il Mattarellum, quintessenza del moroteismo al potere, ovverossia la legge elettorale della Camera approvata dal Parlamento pochi mesi dopo il voto. Un vero e spudorato tradimento del risultato referendario, perché, come spiegò a suo tempo Pannella, con “il mantenimento del 25% di quota proporzionale, e il meccanismo dello scorporo che obbliga ciascun candidato dei collegi uninominali a collegarsi con liste di partito, e ancora, i contrassegni partitici che riempiono le schede elettorali, gli elettori spinti a votare più per i simboli che per le persone, vanificano lo scopo del referendum”.

Con la medesima faccia di bronzo, calpestando la volontà del 90% dei partecipanti al referendum abrogativo del finanziamento pubblico dei partiti, nel 1996 venne approvata una legge truffaldina, che ha reintrodotto i contributi pubblici ai partiti politici sotto altra forma.

Ora i politici, afflitti e contriti, mentre continuano a scavare, si interrogano sul perché si è creato un solco così grande tra istituzioni e popolo.

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