Indicare l’origine del grano nelle confezioni di pasta? La Barilla dice di no

20 dicembre 2016

Però a prevedere l’indicazione dell’origine del grano nelle confezioni di pasta è un decreto varato dal Governo Renzi (finalmente scopriamo una cosa giusta fatta da questo Governo!) e inviato a Bruxelles. Finalmente i consumatori potranno conoscere da dove arriva il grano utilizzato dalla grande industria della pasta. Basterà? Perché i controlli su tutti i derivati del grano proposti da GranoSalus restano comunque importanti

Indicare l’origine del grano nelle confezioni di pasta, come prevede un decreto che il Governo Renzi ha inviato a Bruxelles il 18 novembre scorso? Alla multinazionale Barilla l’idea non piace. Lo dice senza giri di parole, in un articolo pubblicato dal Corriere della Sera on line, Luca Virginio, responsabile relazioni esterne del gruppo. Virginio ha espresso il proprio pensiero a margine della presentazione dei nuovi contratti di coltivazione per il grano duro di qualità per 900 mila tonnellate in 3 anni.

I decreto che non piace al gruppo Barilla prevede l’introduzione obbligatoria in etichetta dell’origine della materia prima. Nel caso della pasta, ovviamente, bisogna indicare da dove arriva il grano duro. Se è italiano bisogna dire che è italiano e da dove arriva; se è estero, bisogna scrivere in etichetta che è grano estero, indicando da quale Paese del mondo arriva.

Per l’Italia – Paese dove, come scriviamo spesso, arriva tanto grano duro dal Canada, pieno di glifosato e di micotossine – il decreto è una rivoluzione. Un provvedimento frutto dell’accordo raggiunto tra il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, e il suo collega dello Sviluppo economico, Carlo Calenda (entrambi hanno fatto parte del Governo Renzi ed entrambi sono stati riconfermati dopo che Renzi è stato sostituito a Palazzo Chigi da Paolo Gentiloni).

Il dirigente del gruppo Barilla dice di nutrire “forti dubbi e perplessità sul decreto per l’origine della materia prima in etichetta della pasta che, nella sua versione attuale, confonderebbe i consumatori e indebolirebbe la competitività della filiera della pasta. L’origine da sola – aggiunge Virginio – non è infatti sinonimo di qualità. Inoltre, non incentiva gli agricoltori italiani a investire per produrre grano con gli standard richiesti dai pastai. A tutto svantaggio del consumatore, che potrebbe addirittura arrivare a pagare di più una pasta meno buona. E dell’industria della pasta, che con un prodotto meno buono, perderebbe quote di mercato, soprattutto all’estero”.

P.S.

L’origine del grano duro, da sola, non è sinonimo di qualità? Non siamo d’accordo con il responsabile delle relazioni esterne del gruppo Barilla. L’origine, soprattutto in un prodotto come il grano duro, non è solo sinonimo di qualità, ma è anche una garanzia per i consumatori. Soprattutto quando il grano duro estero contiene sostanze dannose per la salute umana.

Tuttavia, pur apprezzando lo sforzo del Governo italiano – che con questo decreto sta provando a valorizzare il grano duro italiano (che, lo ricordiamo, per l’80% è prodotto nel Sud Italia) – noi siamo un po’ più radicali e, come dicono dalle parti di GranoSalus, ricordiamo che l’etichetta, da sola, non basta.

Perché oggi, a causa degli effetti nefasti provocati dalla globalizzazione dell’economia, non è importante solo sapere cosa c’è scritto nelle etichette dei prodotti: ma è importante sapere cosa c’è dentro una confezione che conserva un prodotto. Nel caso della pasta è giusto che ci sia l’etichetta, con tanto di indicazione circa la provenienza del grano. Ma è ancora più importante che produttori di grano duro e consumatori promuovano i controlli sui prodotti confezionati.

Sotto questo profilo ci convince il programma di lavoro proposto dall’associazione GranoSalus e da altre associazioni che seguiranno questa strada. GranoSalus è un’associazione – che vede insieme tanti produttori di grano duro del Mezzogiorno d’Italia e tanti consumatori – che si propone di effettuare analisi su tutti i derivati del grano: pasta, pane, pizze, farine, semola, dolci e via continuando. 

Solo effettuando le analisi sui prodotti finiti – analisi che dovranno essere effettuate da vari soggetti ‘terzi’ – i consumatori potranno conoscere cosa arriva sulle loro tavole.

Chi non ha nulla da nascondere non dovrà temere né le informazioni scritte nelle etichette, né le analisi.

Questo è un modo per combattere gli effetti nefasti della globalizzazione. E, nel caso del grano duro prodotto nel Sud Italia, per tutelare e promuovere un prodotto che, grazie al clima, non contiene micotossine.

Non solo. I produttori di grano duro del Sud Italia non debbono seguire le indicazioni dei pastai, che chiedono un grano duro iperproteico per risparmiare sui costi di produzione. Un’alta percentuale di glutine non fa bene alla salute. Quando il mercato estero prenderà coscienza di ciò – e questo tempo si avvicina – molte cose cambieranno. 

Qui potete leggere l’articolo pubblicato dal Corriere della Sera 

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