Pane di Matera, pane di Altamura e pane nero di Castelvetrano: basta con i grani duri delle navi!

11 ottobre 2016

La presenza di grani duri esteri in questi tre pani tradizionali del Sud Italia è un’offesa alla tradizione. La buona notizia è che sia a Matera, sia ad Altamura si sta lavorando per tornare a produrre questi pani con la varietà di grani duro locali. Per eliminare sul nascere una stupida ‘colonizzazione’ che è culturale prima che economica. Lo stesso discorso vale per il pane nero di Castelvetrano. Dove la varietà con la quale si dà luogo a questo prodotto – la Tumminia – potrebbe diventare il volano per il rilancio del grano duro

Matera, Altamura e Castelvetrano. La prima è una città della Basilicata. La seconda è una città della Puglia. La terza è una cittadina della Sicilia. Tre città note, anche, per il pane.

Chi è che non conosce il pane di Matera? E’ un pane che ci proietta nel passato, al tempo del Regno di Napoli. E’ tipico, per l’appunto di Matera. Ma lo si trova anche in altri centri: Tricarico, Irsina, Grottole, Grassano, Montescaglioso. E’, o dovrebbe essere, un prodotto unico, fatto con le antiche varietà di grano duro: Cappelli, Duro Lucano, Capeiti, Appulo. Ha un caratteristico colore giallo, con una porosità molto difforme.

Vi sembrerà incredibile, ma il disciplinare di questo prodotto – ribadiamo: unico – è stato cambiato. Storia poco pubblicizzata. Vicenda che sta tornando in auge da quando è venuto fuori che i grani duri stranieri – i grani duri, per intendersi, che arrivano con le navi – non sono poi così buoni. Anzi.

Dicevamo del disciplinare cambiato: eh sì, a Matera e dintorni hanno deciso che, per la produzione del classico pane tipico di questa bellissima cittadina lucana si potevano aggiungere i grani duri delle navi. Un omaggio della Basilicata ‘lungimirante’, mettiamola così, a ‘Sua maestà la globalizzazione dell’economia’. Anche Matera ha deciso di dare al suo celebre pane un tocco ‘estero’: che poi, si sa, quando si parla di grani duri esteri che arrivano con le navi si parla, per lo più, di grani duri canadesi, quelli maturati a colpi di glifosato (o glifosate).

Oggi, stando a quanto ci hanno raccontato, in Basilicata sono un po’ pentiti. Anzi, se proprio la dobbiamo raccontare tutta, sono molto, ma molto pentiti. Perché ‘sti grani duri che arrivano con le navi, come si usa dire dalle nostre parti, sono come vuole Iddio. Così hanno deciso di tornare indietro.

In un futuro – che si spera immediato – il pane di Matera dovrà tornare ad essere di Matera, con grani duri coltivati a Matera e dintorni. Insomma, grani locali. E questa è senza dubbio una buona notizia.

Stesso discorso per Altamura, Comune della Puglia, altra Regione dove il grano duro ha fatto la storia. Come e perché a qualcuno sia venuto in testa di modificare il disciplinare per infilare anche nel pane di Altamura i grani che arrivano con le navi, beh, nessuno l’ha mai capito. Insomma, anche la Puglia, a un certo punto, ha deciso che il pane di Altamura – che peraltro si fregia della DOP (Denominazione di Origine Protetta) – avrebbe aperto alla globalizzazione dell’economia: grani esteri anche per questo pane. In miscela, certo: ma sempre grani duri che arrivano con le navi.

Teniamo conto che i ‘numeri’ del pane di Altamura sono un po’ più importanti del pane di Matera, se è vero che nella cittadina pugliese si conta almeno un centinaio di forni. Ma se i forni stanno tutti ad Altamura, non è così per i grani, che invece vengono reperiti anche in altri centri: Gravina di Puglia, Poggiorsini e anche alcuni centri della provincia Barletta-Andria-Bari. Le varietà sono la Appulo, la Duilio, l’Arcangelo, il Simeto. Per questo pane si utilizza il lievito madre e il sale marino.

Ribadiamo: perché a un prodotto così buono, così importante e così ricco di tradizioni siano stati aggiunti i grani duri che arrivano con le navi, ebbene, è un mistero. Per fare ‘massa’ e produrre di più? E che senso ha se poi si sminuisce un prodotto? In ogni caso, anche per il pane di Altamura la buona notizia è che si sta lavorando per tornare alla tradizione.

Dalla Puglia alla Sicilia. E facciamo tappa a Castelvetrano. Cittadina ricca di storia, con i suoi cortili arabi. E con un percorso che arriva fino al mare di Selinunte: perché il grande Parco archeologico di Selinunte fa capo proprio al Comune di Castelvetrano.

In effetti, il riferimento all’archeologia ci sta, perché il pane nero di Castelvetrano si produce con una varietà di grano duro già conosciuta dagli antichi greci: la Timilia, o Tumminia, o, ancora, grano Mazzuolo.

La Tumminia è una varietà a ciclo breve: si semina a marzo, possibilmente nelle aree collinari (si può seminare anche prima nelle zone costiere). Un tempo veniva seminato dopo gli autunni molto piovosi. E’ una varietà molto resistente alla siccità.

Come già ricordato, con la Tumminia si produce il pane nero di Castelvetrano, che in Sicilia è piuttosto conosciuto. Anche qui vanno in scena mescolanze con i grani duri delle navi? Il dubbio c’è. Perché acquistando il pane nero in più forni di questa città le differenze saltano agli occhi.

Tra l’altro, questo particolare prodotto viene realizzato mescolando due semole: la già citata Tumminia e un grano duro biondo che dovrebbe essere siciliano. Con i tempi che corrono non può essere escluso a priori che il grano duro delle navi finisca anche nel pane nero di Castelvetrano. Anche perché, in Sicilia, non mancano certo i porti dove attraccano le navi cariche di grano duro canadese: Palermo, Catania, Pozzallo…

Detto questo, aggiungiamo qualche considerazione sulla varietà Tumminia. E’ un grano duro come già ricordato a ciclo breve. Ha un colore scuro che dà al pane di Castelvetrano la caratteristica colorazione nera.

Perché vogliamo dire qualcosa in più sulla Tumminia? Perché in una Sicilia dove il grano duro viene massacrato dalle multinazionali – che impongono i grani duri che arrivano con le navi, quasi sempre di pessima qualità, con i prezzi che crollano (quest’anno il prezzo del grano duro è precipitato a 14 centesimi di Euro al chilogrammo: un disastro, se si pensa che i produttori, per prendere qualcosa, debbono vendere almeno a 24 Euro al chilogrammo) – la cultivar Tumminia può diventare una risorsa.

Basti pensare che il grano di Tumminia, oggi, in Sicilia, si vende a 40-50 centesimi di Euro al chilogrammo. Dunque, anche se la produzione per ettaro di questa cultivar è bassa – 18-20 quintali per ettaro – la convenienza c’è.

Ma la vera convenienza della varietà Tumminia sta nelle farine. Basta molire il grano – naturalmente con i metodi tradizionali – ed ecco che la farina di questo grano antico della Sicilia si può vendere ad un prezzo che oscilla da un Euro a un Euro e 40 centesimi.

Non è poco. Basta organizzarsi. Non a caso sui grani antichi della Sicilia oggi c’è grande fermento.

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