Titanic-Sicilia/ La vecchia politica è al capolinea. E i politici? Non ‘capiscono’. Mandiamoli tutti a casa

16 settembre 2016

Dalla sanità all’agricoltura – passando per i rifiuti, per i Comuni e per le ex Province – lo sfascio della Sicilia è ormai sotto gli occhi di tutti. Gli esponenti dei vecchi partiti – PD, UDC, Nuovo Centrodestra e via continuando – ricordano tanto l’orchestra del Titanic, che continuava a suonare mentre la nave colava a picco. Il problema è che i vari Alfano, Crocetta, D’Alia, Ardizzone, Cracolici, Raciti, Marziano e via continuando vogliono trascinare nel baratro 5 milioni di Siciliani. Troviamo il modo di mandarli a casa prima che combinino altri danni

La sanità siciliana è un delirio. La gestione dei rifiuti è approssimativa e sbagliata. L’agricoltura – che per la nostra Isola dovrebbe essere un fiore all’occhiello – è allo sbando. La disoccupazione – soprattutto quella giovanile – è alle stelle. Le ‘casse’ della Regione, dei Comuni e delle ex Province sono vuote. I servizi sociali per anziani, minori e portatori di handicap sono ai minimi storici (e in alcuni Comuni non ci sono più). Le autostrade e le strade sono abbandonate. Tutto precipita in questo inizio d’Autunno in Sicilia. Eppure, davanti a un disastro economico e sociale senza precedenti, la vecchia politica siciliana prosegue senza sosta con i propri giochi di potere.

Come l’orchestra del Titanic, che continuava a suonare mentre la nave si stava inabissando nell’Oceano, gli esponenti del PD, dell’UDC, del Nuovo Centrodestra Democratico e, in generale, di tutte le vecchie formazioni politiche continuano a operare come se nulla fosse. I vari Alfano, Crocetta, D’Alia, Ardizzone, Cracolici, Raciti, Marziano e via continuando pensano di essere immortali. 

Possibile che questa gente non capisca di non avere più un futuro politico?

Ieri, ad esempio, nel Palazzo Reale di Palermo, la damascata sede del Parlamento siciliano, i deputati della ‘presunta’ maggioranza di centrosinistra hanno passato il tempo a dividersi, ad accapigliarsi e ad abbandonare i lavori parlamentari per mettere in difficoltà chi restava in Aula. E sapete perché? Perché ‘sti signori della vecchia politica non trovano la ‘quadra’ su come spartirsi le spoglie di quel poco di risorse finanziarie che il Governo Renzi non ha ancora scippato alla Regione siciliana.

Pensate: il presidente della Regione, Rosario Crocetta – con l’avallo della maggioranza di centrosinistra del Parlamento siciliano – ha rinunciato, per ben due volte negli ultimi due anni, agli effetti positivi dei contenziosi finanziari con lo Stato, regalando una barca di soldi a Roma; insieme, Governo e Parlamento dell’Isola, hanno cancellato dal Bilancio regionale crediti per 10 miliardi di Euro circa, non prima di averli frettolosamente catalogati come “residui attivi” (leggere crediti di difficile esigibilità); dopo di che, sempre insieme, hanno scippato 8-9 milioni di Euro dal Fondo etico (cioè dal Fondo che sarebbe dovuto servire per sostenere le famiglie povere che non hanno più accesso in banca!, come potete leggere qui), ma non trovano l’intesa per utilizzare queste somme.

Insomma, all’Ars, dalla fine di Luglio a oggi, va in scena la miseria della politica.

Scippano i pochi soldi ai poveri e non sanno nemmeno come spartirseli.

Non si capisce, ad esempio, se le ex Province (fatte fallire dal Governo Renzi e dal Governo Crocetta), che oggi non sono nemmeno in grado di pagare gli stipendi ai circa 6 mila e 500 dipendenti, avranno o no ‘sti 9 milioni di Euro per tirare a campare per un altro paio di mesi; non si capisce che fine faranno i Comuni siciliani, quasi tutti sull’orlo del default (venti Comuni hanno già dichiarato il dissesto per la ‘felicità’ dei cittadini che pagheranno tutto con uno spaventoso aumento di tasse e imposte locali: qui trovate l’elenco dei Comuni siciliani già falliti).

Tutto crolla, dicevamo. Come può, per citare un esempio, il Parlamento siciliano non mettere subito all’ordine del giorno un dibattito sulla crisi dell’agricoltura?

Le disastrose politiche dell’Unione Europea hanno messo in crisi tre settori portanti dell’agricoltura siciliana: il grano, l’olio extra vergine di oliva e gli agrumi. Parliamo del futuro di migliaia di aziende. Eppure la vecchia politica siciliana va avanti come se il problema fosse di ‘altri’.

Il grano duro è sotto attacco. Rispetto allo scorso anno, il prezzo è precipitato del 70% circa. Con il grano duro a 14 centesimi di Euro al chilogrammo gli agricoltori siciliani producono sotto costo.

In questi casi si interviene con la dichiarazione dello stato di crisi.

Che fanno, invece, il Governo Renzi e il Governo Crocetta? Stanno lasciando i produttori siciliani di grano duro nelle mani di Equitalia…

Nel frattempo, nei porti italiani continuano ad arrivare navi cariche di grani pieni di micotossine e di altri veleni (per esempio il glifosato) che arricchiscono i commercianti, ma avvelenano la popolazione (come vi abbiamo raccontato qui).

E che dire dell’olio extravergine di oliva siciliano, pugliese e calabrese? Già da mesi l’Unione Europea è invasa da olio d’oliva tunisino, grazie a un folle e truffaldino accordo voluto e votato dal Parlamento europeo.

Ci hanno detto che tale accordo era un sostegno alla Tunisia. Poi, però, si è scoperto che queste 90 mila tonnellate di olio d’oliva tunisino (90 mila tonnellate!) sono prodotte sì in Tunisia, ma non dai tunisini: a produrre sono le multinazionali e altri produttori non tunisini (anche qualche italiano), a prezzi stracciati e con metodologie agronomiche superate (c’è il dubbio, che è più di un dubbio, che le olive vengano trattate con pesticidi dannosi per la salute umana: ma qualcuno sta facendo le analisi all’olio tunisino?).

Questo provvedimento voluto, lo ribadiamo, dal Parlamento europeo, di fatto, è un assist ai sofisticatori (come potete leggere qui). Tra qualche anno le autorità scopriranno che olio tunisino, peraltro di pessima qualità, è stato imbottigliato e venduto come “olio d’oliva extra vergine”.

Non ci dobbiamo stupire: ci sono aree del Centro Nord Italia con percentuali irrisorie di oliveti che ‘producono’ il 30-40% di olio extra vergine di oliva italiano…

Proprio ieri un produttore ci raccontava che oggi – a prescindere dalle 90 mila tonnellate do olio d’oliva tunisino che ha invaso l’Europa – è possibile acquistare un chilo di olio d’oliva africano a un Euro (più 50 centesimi di Euro per il trasporto).

A questi prezzi l’olio extra vergine d’oliva, benché di elevatissima qualità della Sicilia non è competitivo.

Ricordiamo che nella nostra Isola un chilo di olio d’oliva extra vergine (pressappoco l’equivalente di un litro) acquistato al frantoio non può costare meno di 3,5 Euro-4 Euro; mentre se imbottigliato non può costare meno di 5 Euro.

Quando in un supermercato vendono l’olio extra vergine d’oliva a 2,5-3 Euro dobbiamo sapere che non è un prodotto italiano. Perché nessun produttore del nostro Paese può produrre a prezzi così bassi.

Sono problemi seri, che rischiano di mettere a repentaglio l’olivicoltura del Sud Italia. Ma la politica, fino ad oggi, è assente. Almeno in Sicilia (in Puglia il presidente della Regione, Michele Emiliano, sta difendendo il settore in modo energico: Emiliano è un vero presidente di Regione).

Lo scenario non cambia con gli agrumi, altro settore un tempo strategico dell’economia siciliana. Nella parte occidentale dell’Isola sono scomparsi i limoni (come vi abbiamo raccontato qui). Tra qualche settimana cominceranno ad arrivare gli agrumi del centro Africa (altro accordo voluto dall’Unione Europea: per sostenere gli agricoltori di quei Paesi o le multinazionali che si sono impossessate di quei luoghi?).

Certo, la politica e gli stessi produttori siciliani non hanno fatto molto a tutela del settore. Nella Prima Repubblica il ministero dell’Agricoltura predisponeva i cosiddetti ‘Piani agrumi’. Non erano interventi risolutivi, ma erano comunque politiche economiche: ci si poneva il problema dell’agrumicoltura del Sud Italia. Oggi, dal Governo nazionale, c’è il nulla. E non parliamo della Regione siciliana, totalmente assente.

Di fatto, la vecchia politica siciliana non è in grado nemmeno di pensare a interventi in favore dell’agricoltura. E non è in grado di occuparsi della stessa Sicilia, dalla sanità ai rifiuti, dai Comuni alle ex Province.

Alla Sicilia, alla politica siciliana serve una svolta profonda. Non abbiamo citato a caso l’agricoltura. Quasi 5 miliardi di Euro: questi i fondi arrivati in Sicilia dal 2007 al 2013. Che fine hanno fatto?

Una parte – con molta probabilità, a titolo di mero sostegno al reddito, senza alcuna strategia – sono arrivati agli agricoltori. E gli altri soldi? Non si sa. Non ci sono controlli. Le erogazioni avvengono a Roma e non in Sicilia. I fondi europei per l’agricoltura siciliana li eroga Roma. Non c’è più l’Agenzia siciliana per i pagamenti. Nulla totale.

Forse qualcosa su questi 5 miliardi di Euro – e magari sugli altri 2 miliardi del PSR 2014-2020 – la dirà un giorno la magistratura. Da questa fallita e fallimentare politica siciliana non c’è da aspettarsi nulla.

Idem per la sanità. Ma vi sembra serio che Governo nazionale e Governo regionale annunciano i tagli alla sanità siciliana – già alla frutta – e poi, alla luce delle proteste della gente (della gente e non dei sindaci del centrosinistra, che andrebbero mandati tutti a casa, di corsa!), prima giocano a scarica barile, poi negano quello che hanno detto e, alla fine – con riferimento all’ospedale di Cefalù – se la prendono con i vertici dello stesso ospedale di Cefalù?

Ma i vari Beatrice Lorenzin, Rosario Crocetta, Baldo Gucciardi pensano veramente che i Siciliani siano degli stupidi?  

 

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