Città metropolitane: il Parlamento siciliano piegato agli interessi di Renzi, Orlando e Bianco

11 maggio 2016

Una legge per i ‘piccioli’, quella approvata ieri dall’Ars. Con un vero e proprio ricatto politico ed economico: se Sala d’Ercole non avesse obbedito, Renzi non avrebbe erogato i soldi alle Città metropolitane di Palermo, Catania e Messina. Un ricatto che, ovviamente, non è previsto dalla legge, ma dalla prepotenza di Renzi e del ‘suo’ PD. La paura-accidia dei grillini. Lo scivolone del presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone, che s’illude di andare a gestire il ‘malloppo’ quando lo eleggeranno – ma lo eleggeranno? – sindaco di Messina

Ieri l’Assemblea regionale siciliana ha scritto l’ennesima pagina politica e parlamentare tragicomica e ‘ascara’. Su indicazione di Roma, ovvero su ordine di un Governo nazionale presieduto da un personaggio – Matteo Renzi – che appena una settimana fa è venuto in Sicilia per ‘inaugurare’ il nulla mescolato col niente, il Parlamento dell’Isola ha adeguato la propria legislazione in materia di enti locali ai voleri romani. Il tutto per interessi di bottega: soldi e potere.

La storia è nota. L’Ars ha più volte approvato una legge che istituisce le tre ridicole Città metropolitane di Palermo, Catania e Messina. Perché ridicole? Perché non hanno nulla di ‘metropolitano’: sono solo le vecchie Province regionali che cambiano nome. Una farsa.

Questa legge sulle Città metropolitane fa parte di una maldestra riforma, sempre approvata dall’Ars, che ha calpestato l’articolo 15 dello Statuto autonomistico della nostra Regione. E’ l’articolo che prevede l’abolizione delle Province, che dovrebbero essere sostituite da “Liberi Consorzi di Comuni”.

Questo articolo dello Statuto fu voluto dai padri costituenti dell’Autonomia siciliana per scardinare il potere dello Stato in Sicilia facendo venire meno le Prefetture. Perché in Sicilia l’articolo 31 dello Statuto dà al presidente della Regione i poteri di Polizia.

Recita, infatti, l’articolo 31 dello Statuto:

1. Al mantenimento dell’ordine pubblico provvede il Presidente della Regione a mezzo della polizia dello Stato, la quale nella Regione dipende disciplinarmente, per l’impiego e l’utilizzazione, dal Governo regionale. Il Presidente della Regione può chiedere l’impiego delle forze armate dello Stato.

2. Tuttavia il Governo dello Stato potrà assumere la direzione dei servizi di pubblica sicurezza, a richiesta del Governo regionale congiuntamente al Presidente dell’Assemblea e, in casi eccezionali, di propria iniziativa, quando siano compromessi l’interesse generale dello Stato e la sua sicurezza.

3. Il Presidente ha anche il diritto di proporre, con richiesta motivata al Governo centrale, la rimozione o il trasferimento fuori dell’Isola dei funzionari di polizia. 4. Il Governo regionale può organizzare corpi speciali di polizia amministrativa per la tutela di particolari servizi ed interessi. 

L’applicazione dell’articolo 15 dello Statuto va visto in sinergia politica con l’applicazione dell’articolo 31. Introdurre i “Liberi Consorzi di Comuni” senza liberare la Sicilia dalle Prefetture significa non applicare lo Statuto. In questo caso non è Roma che calpesta l’Autonomia siciliana – per esempio, non applicando gli articoli 36, 37 e 38 dello Statuto -: ma è il Parlamento siciliano che si auto-incapretta.

Questo è già successo nel 1986, con l’approvazione della legge regionale n. 9. Anche allora si attuò una riforma delle Province, ma almeno i parlamentari di Sala d’Ercole di quella legislatura ebbero la dignità culturale e politica di non chiamare le Province siciliane riformate “Liberi Consorzi di Comuni”: le chiamarono Nuove Province regionali. Almeno la forma venne tutelata.

Invece gli ‘ascari’ che oggi occupano gli scranni del Parlamento siciliano hanno calpestato l’articolo 15 dello Statuto, hanno ignorato i legami strettissimi dell’articolo 15 con l’articolo 31 (che dobbiamo a Giuseppe Alessi e al suo carisma, che lo fece approvare da Roma contro il parere di Alcide De Gasperi) e hanno anche avuto la sfrontatezza di chiamare le creature teratologiche che hanno inventato “Liberi Consorzi di Comuni”, sapendo benissimo che non c’è stata alcuna libertà, da parte dei Comuni – che avrebbero dovuto essere i protagonisti di questa legge di riforma – e che invece si è trattato di una riforma che è stata imposta dall’alto agli stessi Comuni siciliani (a propria volta gestiti da sindaci, quasi tutti di centrosinistra o del Nuovo Centrodestra, che invece di difendere gli interessi dei cittadini che li hanno eletti, difendono – in questa come in altre occasioni – gli interessi del Governo nazionale e del PD renziano).

In questo scenario hanno pure istituito le tre già citate Città metropolitane di Palermo, Catania e Messina. La legge siciliana, al contrario di quella nazionale (la ‘bella’ legge voluta dal Ministro Delrio che è un mezzo fallimento in tutta l’Italia) prevedeva un’elezione di secondo grado per i vertici delle tre Città metropolitane dell’Isola. Mentre la legge Delrio prevede che, automaticamente, i sindaci dei capoluoghi di provincia diventino anche i vertici delle Città metropolitane.

La Sicilia si è data una legge diversa, almeno per la parte che riguarda il governo di queste Città metropolitane. E lo può fare perché lo Statuto ci dà questo potere legislativo.

Il Governo nazionale – che adesso impugna le leggi regionali, visto che hanno, di fatto, abolito l’Ufficio del Commissario dello Stato per la Regione siciliana (altra ‘genialata’ dei soliti ‘perecottari’ del ‘Rovescio’ costituzionale…) – ha annunciato l’impugnativa.

Attenzione: come ha ribadito ieri, a Sala d’Ercole, l’onorevole Nino Malafarina, il Governo nazionale non ha impugnato la legge siciliana: ha solo minacciato l’impugnativa.

Ebbene, di fronte a questa minaccia, il Parlamento siciliano, a cominciare dal suo presidente, l’onorevole Giovanni Ardizzone, si è messo sull’attenti e si è subito adeguato ai voleri romani. Grandi uomini politici…

In questa pagina poco edificante vanno segnalati gli ‘ascari’, i tornacontisti (che sono pure ‘ascari’) e i timorosi-accidiosi.

Cominciamo con questi ultimi: i 14 deputati del Movimento 5 Stelle. La legge è stata approvata con 34 voti a favore e 27 contrari. Se i parlamentari grillini fossero rimasti in Aula e avessero votato contro, la legge non sarebbe stata approvata. Su questo non ci piove.

Perché i grillini hanno scelto, alla fine, di fare passare la legge?

A quanto ci risulta, hanno subito un ricatto politico. Gli hanno detto che, se la legge non fosse stata approvata, i circa 6 mila e 500 dipendenti delle Province siciliane sarebbero rimasti senza stipendi. E questi lavoratori se la sarebbero presa con loro.

Un ricatto politico vergognoso. Anche se va detto che, in ogni caso, i grillini avrebbero condiviso con altri 27 deputati l’eventuale ‘bocciatura’ della legge. E, sempre in ogni caso, il voto sarebbe stato comunque segreto. Via, un po’ di accidia i parlamentari grillini, in questa storia, ce l’hanno messa…

Insomma, anche il Movimento 5 Stelle non ha scritto una bella pagina. Ma i veri responsabili sono i ‘signori’ che hanno messo in piedi questo volgare ricatto politico e, in generale, la manfrina parlamentare che ha portato all’approvazione di questa pessima legge. Parlamentari che hanno messo in giro notizie false.

Qui arriviamo agli ‘ascari’ e ai tornacontisti. Il protagonista di questo scivolone dell’Ars è il presidente, Giovanni Ardizzone.

Nei giorni scorsi abbiamo avuto modo di invitare il presidente Ardizzone a mostrare un po’ più di rispetto per le istituzioni autonomistiche e per il ruolo che occupa (come potete leggere qui). Ma le miserie della politica hanno avuto il sopravvento su un personaggio che, solo a parole, dice di voler difendere l’Autonomia siciliana.

Quello che abbiamo ascoltato in questo dibattito ha superato l’immaginazione. Ardizzone e compagni hanno detto che, se la legge non fosse stata approvata, Roma non avrebbe dato i soldi per le Province. A parte il fatto che il Governo Renzi calpesta un giorno sì e l’altro pure lo Statuto ‘svuotando’ le ‘casse’ regionali, questa tesi è falsa, perché il Governo nazionale non può decidere di non erogare alla Regione siciliana le risorse finanziarie che spettano alla stessa Regione.

Tra l’altro, ricordiamo al presidente Ardizzone, a quella parte del PD e alle altre forze politiche che hanno sostenuto questa legge che il Governo nazionale non solo ha tagliato i fondi alle Province siciliane, non solo pretende 180 milioni di Euro all’anno per il solito “risanamento dei conti”, ma ha anche trafugato 220 milioni di Euro di RC auto: risorse che sono di competenza delle Province siciliane.

Se Renzi ha potuto effettuare questo scippo è perché il Governo di Rosario Crocetta e l’Assemblea regionale siciliana presieduta da Ardizzone gliel’hanno lasciato fare. 

Come già accennato, non è vero che c’era l’impugnativa del Governo nazionale. E anche quando ci fosse stata l’impugnativa, quale sarebbe stato il problema? Il presidente Ardizzone è un avvocato e sa benissimo che l’eventuale impugnativa romana avrebbe fatto sorridere i giudici costituzionali, perché su tale materia decide la Sicilia secondo quanto previsto dallo Statuto.

La verità è che il presidente Ardizzone, sin dal primo momento, ha sposato la ‘causa’ romana per meri e poco nobili interessi di bottega: perché pensa – e secondo noi s’illude – una volta finita questa ingloriosa legislatura all’Ars, di andare ad occupare lo scranno di sindaco di Messina. Da cosa deduce questa certezza, il presidente dell’Ars? Dal fatto che tutti i partiti, a Messina, si sono messi d’accordo per ‘sbarellare’ l’attuale sindaco, Renato Accorini.

Noi non siamo convinti che Accorinti – che da sindaco uscente potrebbe ricandidarsi – parta battuto. In ogni caso, vorremmo porre una domanda al presidente Ardizzone:

dunque lei, per interessi personali, utilizza lo scranno più alto dell’Ars per predeterminarsi il futuro politico calpestando l’Autonomia siciliana?

Complimenti, presidente Ardizzone, lei sì che è un vero ‘autonomista…

E che dire di Forza Italia e del Cantiere Popolare? I parlamentari di questi partiti stanno all’opposizione, ma hanno votato a favore. Dicono che l’hanno fatto per fare emergere le contraddizioni all’interno del PD e dell’UDC. Tutto vero, per carità.

Ma per raggiungere un obiettivo politico-tattico si calpesta l’Autonomia siciliana?

Complimenti pure ai deputati di Forza Italia – il capogruppo Marco Falcone in testa – e ai deputati del Cantiere Popolare (l’onorevole Toto Cordaro in testa): un’altra ‘banda’ di autonomisti al servizio dell’Autonomia…

Del PD siciliano nemmeno parliamo: ormai l’ascarismo di questo partito è così inveterato che ogni commento su questi ‘improbabili’ rischia di essere pleonastico.

Ultima considerazione: la prova di ‘ascarismo’ di ieri, alla fine, è servita per far diventare ‘capi’ delle Città metropolitane di Palermo e Catania, rispettivamente, Leoluca Orlando ed Enzo Bianco.

Questo significa che Orlando e Bianco sono i veri referenti di Renzi in Sicilia: più di quanto lo siano gli stessi parlamentari dell’Ars che, di fatto, sono stati costretti da Renzi a votare questa legge.  

E’ a questi due personaggi – a Orlando e a Bianco – che il capo del Governo e la sua schiera di ricattatori politici consegneranno i piccioli delle Città metropolitane.

I cittadini palermitani e catanesi ora non hanno più alibi: adesso hanno la prova provata che Orlando e Bianco – e le loro rispettive Amministrazioni comunali – sono espressione del renzismo. Se lo ricordino bene al momento del voto.

 

 

 

 

 

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