Dai contributi ‘a pioggia’ alla pioggia dei contributi: così muore la cultura!

6 maggio 2016

 

Quale cancro rode da sempre le associazioni culturali e in genere, dello spettacolo? La politica. Quella politica che considera i soldi pubblici con propria. Da utilizzare per soddisfare i propri interessi, non certo per il diletto e la crescita culturale dei cittadini

La contraddizione, la contrapposizione più stridente, la radice della mala pianta è quella tra il concetto di cultura e quello di settore pubblico. Due parole che fanno a cazzotti. La cultura, per essere tale, per essere vera, deve essere essenzialmente libera di dispiegarsi, senza condizionamenti di sorta. Al contrario, il pubblico, la politica non riesce mai a vincere, a superare la sua cancerosa pervasività.

E quando la cultura, per vivere, ha bisogno del sostegno della politica, ecco che questa fa pagare uno scotto altissimo alla cultura. Ovviamente sto parlando della politica italiana, e siciliana in particolare, che riesce a speculare pure nelle assunzioni nei call center.

Molte espressioni artistiche e culturali, si obietterà, sin dalla notte di tempi, sono state, oltre che in mano ad impresari privati, anche di corte (royal  theatre, royal opera house e via citando).

Leggendarie furono le rappresentazioni alla corte del Re Sole, e costosissime le messe in scena.

Ubaldo Mirabelli, che fu Sovrintendente al Teatro Massimo di Palermo, grande maestro e grande organizzatore musicale, di fronte a quell’obbiezione argomentava così:

“A quei tempi non c’era scandalo, perché nelle antiche amministrazioni finanziarie degli Stati, accanto all’Erario, il patrimonio pubblico, si poneva il Fisco, il patrimonio personale del sovrano, cui lo stesso sovrano attingeva per le sue capricciose volontà. Oggi questo non c’è più, i soldi pubblici sono tutti del contribuente e a lui la politica deve rendere il conto. Se Luigi XIV voleva che ne ‘Le Indie galanti’ cantasse una sua amante, erano fatti suoi, ma se oggi il Presidente della Regione o l’assessore della Cultura pretendono che nei teatri siciliani recitino o cantino un loro cinedo o una loro concubina, sono fatti nostri”.

Sante parole!

Capisco che per la nostra politica il solo pensiero di erogare finanziamenti ad istituzioni e associazioni culturali e lasciare i rispettivi amministratori liberi di usarli a loro discrezione è inconcepibile. E’ che, per farlo, bisogna essere persone di grande sensibilità e cultura. Sapersi circondare di persone capaci, di delegare e di non interferire.

Ma come possono i nostri nanetti che non sono mai stati in un teatro, se non per rappresentanza, che non sanno distinguere tra una commedia e una pantomima, farsi da parte, astenersi?

Impossibile. Per loro i soldi pubblici sono soldi loro, sono lì per soddisfare i loro interessi, non per il diletto e la crescita culturale dei cittadini.

 

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