L’Isola dell’Utopia: un nuovo modello di sviluppo: energie rinnovabili e risparmio energetico

8 aprile 2016

di Franco Busalacchi

Dieci passi verso il futuro. Sul quinto passo – l’energia – ospitiamo con grande piacere il contributo di Federico Butera, professore emerito presso il Politecnico di Milano dal titolo:
L’Isola dell’Utopia: un nuovo modello di sviluppo: energie rinnovabili e risparmio energetico

di Federico Butera

Un romanzo di fantascienza degli ’60 del secolo scorso immaginava che la California si staccasse dal resto degli Stati uniti d’America, diventasse uno Stato e realizzasse un destino virtuoso fatto di sostenibilità ambientale e di contenimento di ogni forma di spreco.

Suggestivo  scenario, vero? Che cosa manca alla Sicilia per fare diventare questo sogno una realtà? A parte la questione  istituzionale della sua separazione dallo Stato italiano, che resta sullo sfondo, basterebbe congiungere le vie oggi parallele della sua specificità climatica e della sua condizione di autonomia speciale per realizzare l’utopia. 

Basterebbe avere la consapevolezza che il Sole riversa sull’isola l’equivalente di miliardi di tonnellate di petrolio e catturarne quanto ne occorre per il nostro fabbisogno. E non sarebbe un atto virtuoso, sarebbe una soluzione razionale ed avveduta ad un problema che diventa col passare degli anni sempre più grave.

Il cambiamento climatico è in atto, e pone serie sfide. Si prevede che accadano sempre più frequentemente eventi meteorologici estremi con conseguenti ondate di caldo, inondazioni e siccità. Le inondazioni possono danneggiare interi territori, o distruggere case, stabilimenti industriali e infrastrutture. Le ondate di calore possono compromettere la salute pubblica (specialmente quella degli anziani), ridurre la produttività e vincolare la funzionalità delle infrastrutture. La scarsità d’acqua metterà le città in competizione con l’agricoltura, l’industria, la produzione di energia e il turismo. E non si tratta di fantascienza.

Sarebbe follia ignorare il cambiamento climatico. Il momento di agire è ora; ritardare le azioni volte a fronteggiarlo comporterà costi più alti e/o interventi troppo tardivi. La tenuta dell’assetto idrogeologico è impegnativa e onerosa, le Infrastrutture, come edifici, strade, ferrovie, reti energetiche e sistemi di depurazione, durano pochi decenni e sono costosi da ricostruire.

Non basta, però, difendersi dagli effetti, bisogna anche cercare di rimuovere le cause. E per far questo occorre attuare una transizione verso un nuovo sistema energetico; nuovo sia per modo in cui viene utilizzata l’energia, sia per quello in cui viene prodotta. Si richiede una trasformazione in tutti i settori legati all’uso dell’energia, spostando capitali in settori nuovi, come la generazione di energia a bassa emissione di CO2, le reti intelligenti, i veicoli elettrici e le pompe di calore.

Le città, causa di oltre il 70% delle emissioni, sono chiamate in prima linea; per esse, l’attuazione di questo impegno implica il ridisegno del loro sistema energetico, con un fortissimo impatto sul sistema edilizio, sulla mobilità, sull’uso del suolo, sulla allocazione delle risorse finanziarie e sul modello di governance.

Un’altra grande sfida da affrontare è quella della perdita di biodiversità connessa al degrado degli ecosistemi, a scala globale e locale. Gli ecosistemi, infatti, assolvono a diverse funzioni: regolano il clima, proteggono dai rischi, soddisfano il fabbisogno energetico, sostengono l’agricoltura, prevengono l’erosione del suolo e offrono opportunità di svago e ispirazione culturale.

Un ulteriore importante tema, infine, riguarda l’uso delle risorse minerarie, non rinnovabili, che sono in via di esaurimento. Le città europee, in cui è concentrato il 75% della popolazione (sarà l’83% nel 2050), consumano la maggior parte di queste risorse, attraverso il processo lineare che trasforma il flusso di materia in rifiuto. È in esse che si riversa principalmente il flusso dei beni prodotti dal settore industriale e agricolo, e poiché per produrli si consuma materia prima e si genera, nel luogo di produzione, inquinamento locale ed emissioni di gas climalteranti, il controllo di questo flusso ha un impatto sostanziale sull’uso delle risorse naturali non rinnovabili e sulle emissioni globali.

La sfida che le città devono affrontare, quindi, non si limita alla necessità di programmare interventi per ridurre le emissioni dirette dei settori edilizia e trasporti, ma implica anche azioni volte alla riduzione delle emissioni indirette, come vengono chiamate quelle prodotte fuori dai confini urbani, derivanti dalla produzione dei beni e dei servizi che entrano nella città.

Gli interventi in questo ambito, che mettono in primo piano la riduzione del flusso di materia e di energia che alimenta la città, hanno un pesante impatto sui modelli di governance e sullo stile di vita dei cittadini, modificandoli.

In sintesi, occorre rivoluzionare il metabolismo urbano. È una sfida, questa, che si collega a quella del disaccoppiamento fra crescita del PIL e uso delle risorse: una necessità ormai riconosciuta da tutte le principali organizzazioni internazionali che si occupano di sviluppo socio-economico, e recentemente anche dall’ONU. Le città, nelle quali si genera la maggior parte del PIL nazionale (il 67% nell’UE) dovranno essere il motore di un nuovo modello economico in cui il benessere dell’individuo non sia in contrasto con quello del pianeta e, quindi, con quello delle generazioni che verranno.

Le città, d’altra parte, svolgono un ruolo cruciale come motori dell’economia, come luoghi di connettività, creatività e innovazione, e come centri di servizi per le zone circostanti.

A causa della loro densità, le città offrono un enorme potenziale per la realizzazione di una economia a emissioni zero. Le città sono, quindi, un fattore chiave per il successo della strategia Europa 20209 (primo passo verso l’attuazione della Roadmap 2050) che indica fra gli obiettivi prioritari:

  • costruire un’economia a basse emissioni di CO2 più competitiva, capace di sfruttare le risorse in modo efficiente e sostenibile;
  • tutelare l’ambiente, ridurre le emissioni e prevenire la perdita di biodiversità;
  • servirsi del ruolo guida dell’Europa per sviluppare nuove tecnologie e metodi di produzione verdi
  • introdurre reti elettriche intelligenti ed efficienti;

Sulla  linea tracciata dalla carta di Aalborg, la carta delle città europee per uno sviluppo durevole e sostenibile, occorre assumere una serie di impegni collettivi in materia di sostenibilità ambientale in precise aree di intervento prioritarie;

 

  • le “Risorse naturali comuni” (tema in cui rientra la preservazione dei terreni ecologicamente produttivi, anche attraverso la produzione di un’agricoltura sostenibile, e la conservazione della biodiversità);
  • il “Consumo responsabile e stili di vita” (riferito, fra l’altro, alla riduzione della produzione di rifiuti);
  • la “Pianificazione e progettazione urbana” (che prevede l’adattamento del sistema edilizio e del piano regolatore alla visione di una città a emissioni zero, integrando la rivitalizzazione e la riqualificazione delle aree svantaggiate);
  • una “Migliore mobilità, meno traffico” (per la scelta di una mobilità sostenibile);
  • una “Economia locale sostenibile” (che prevede, fra l’altro, la promozione di attività produttive sostenibili);
  • un “metabolismo urbano efficiente” (che prevede flussi di energia, acqua, rifiuti non più in un processo lineare ma circolare)

 

Un punto decisivo in questo ragionamento e quello della sostenibilità urbana che si declina in una visione possibile dell’ecocity. Per mettere in pratica questa visione è necessario sviluppare un nuovo modello di progettazione urbana.

Gli ambiti interessati dalla visione, fra loro interconnessi, sono:

 

  • la struttura urbana (ci si riferisce alla realtà fisica della città considerata come un sistema interconnesso; aspetti associati: uso del suolo, paesaggio/spazi verdi, comfort urbano, spazi pubblici, edifici);

 

  • i trasporti (ci si riferisce al movimento fisico e virtuale della gente, della merce e dei dati in ingresso, all’interno e in uscita dalla città; aspetti associati: mobilità pedonale e con bici, trasporto pubblico, trasporto individuale motorizzato, trasporto di merci);

 

  • i flussi di energia e di materia (ci si riferisce al flusso di energia e materiali attraverso diversi sistemi fisici e urbani; aspetti associati: energia, acqua, rifiuti, prodotti di qualsiasi natura);
  • la socio-economia (ci si riferisce alle attività umane che determinano i processi sociali ed economici della città; aspetti associati: problemi sociali, economia, costi)

 

Uno degli elementi più critici su cui implicitamente si basa la visione di una città sostenibile è il passaggio dall’attuale modello di metabolismo urbano, lineare e basato su grandi flussi di materia, energia e rifiuti, a uno circolare che minimizza i flussi di risorse non rinnovabili impiegate e quindi i flussi di rifiuti, massimizzando quelli relativi alle fonti rinnovabili e alla informazione.

L’attuazione della visione di città sostenibili non si limita a interventi per ridurre le emissioni dirette dei settori edilizia e trasporti, ma implica anche azioni che influiscono sugli stili di vita dei cittadini, e li modificano – condizione necessaria perché si riducano anche le emissioni indirette.

La crescita indefinita del consumo di risorse naturali non rinnovabili, e la conseguente crescita indefinita delle emissioni, sono incompatibili con un modello di sviluppo sostenibile, e occorre tenere ben presente che anche il suolo è una risorsa naturale non rinnovabile. Inoltre, l’incompatibilità fra crescita indefinita e sostenibilità si estende all’ambito economico, che invece continua a puntare sulla crescita indefinita dal PIL.

Crescita e sviluppo non sono sinonimi.

Le nostre città, per essere sostenibili, devono affrontare questo delicatissimo tema, che ha pesanti implicazioni sui modelli di vita, sui servizi, sulle infrastrutture, sulla allocazione delle risorse. Implicazioni che, se ben gestite, possono portare a un aumento della ricchezza e della qualità della vita, attraverso la generazione di nuove attività imprenditoriali, superando definitivamente la vecchia e obsoleta contrapposizione ambiente-sviluppo.

La cosiddetta “green economy”, infatti, se correttamente sviluppata e integrata nel processo di trasformazione del metabolismo urbano da lineare a circolare e nella progressiva uscita di scena del modello consumista, avrebbe come conseguenza – fra l’altro – lo spostamento di occupazione dal settore produzione di beni (occupazione localizzata di solito in aziende fuori dal territorio comunale) ai settori dell’artigianato, della produzione agricola su piccola scala e della manutenzione (occupazione necessariamente locale, e mediamente più qualificata di quella addetta alla produzione).

Elemento centrale di qualsiasi strategia di sviluppo sostenibile locale è la riduzione dei gas serra al fine di minimizzare il contributo della città al cambiamento climatico globale. Risparmiare energia e aumentare la quota di produzione di energia da fonti rinnovabili sono temi-chiave, da unire a politiche di adattamento (prevenzione dei rischi ambientali legati al cambiamento climatico) e all’aumento della resilienza del sistema urbano.

Nella progettazione urbana a basso impatto energetico il primo obiettivo deve essere la minimizzazione del consumo di energia primaria,

Il raggiungimento di questo obiettivo implica diverse azioni combinate:

  • massimizzare l’efficienza energetica della struttura urbana
  • minimizzare la necessità di energia negli edifici
  • massimizzare l’efficienza della conversione energetica
  • massimizzare la quota di fonti rinnovabili nel mix energetico

La lista, tuttavia, non è esaustiva, dato che tutto il metabolismo urbano è causa di emissioni di gas climalteranti. Così bisogna prendere in considerazione anche altre azioni, che riguardano l’acqua, i rifiuti, la mobilità e l’alimentazione, cioè:

 

  • minimizzare il consumo di acqua potabile, sfruttare il potenziale energetico delle acque reflue e riciclarle per usi appropriati, una volta depurate
  • minimizzare il volume e il peso dei rifiuti che vengono generati e che vanno in discarica, e usare il contenuto energetico dei rifiuti non riciclabili o riusabili
  • minimizzare il consumo di energia primaria dovuto alla mobilità
  • massimizzare la quota di energia rinnovabile nel settore trasporti
  • massimizzare la quota di cibo consumato prodotto localmente.

Anche i beni e il cibo, per la loro produzione, sono causa di emissioni di gas climalteranti

D’altra parte, il cambiamento climatico, che è in atto e che anche se contenuto è ormai in certa misura inevitabile, rende più critico il rischio idrogeologico a causa degli eventi meteorologici estremi, e richiede la messa in atto di provvedimenti che lo contengano.

Gli eventi meteorologici estremi, inoltre, non determinano solo eccesso di precipitazioni, ma anche difetto; il Mediterraneo si avvia verso un periodo di crescente siccità, e la razionalizzazione del ciclo dell’acqua, attraverso la riduzione del consumo e l’efficienza di gestione diventa un altro elemento critico.

Le azioni di mitigazione (riduzione delle emissioni) e di adattamento (azioni di difesa) di cui sopra aumentano la resilienza fisica delle città e, se accompagnate dalla promozione della piccola scala delle aziende di produzione e commerciali, anche quella economica.

Un sistema economico basato sulla manutenzione è ad alta densità di occupazione ed è resiliente e sostenibile. È pure resiliente, e sostenibile, un sistema economico basato sulla produzione di beni ad alta densità di informazione e ad alto valore aggiunto o inimitabili perché caratterizzati dalla specificità culturale e ambientale locale.

 

Punti – chiave delle azioni di mitigazione sono:

  • l’aumento dell’efficienza energetica del parco edilizio, la generazione distribuita e la promozione dell’uso di energie rinnovabili
  • per le costruzioni, l’uso di materiali locali a basso contenuto energetico
  • la disincentivazione dell’uso dell’auto privata

 

  • l’integrazione e la prossimità delle funzioni
  • il blocco del consumo di suolo

 

  • la riduzione dei rifiuti
  • la promozione dell’agricoltura urbana e peri-urbana

 

Un progetto di sviluppo urbano sostenibile, di cui ogni  Piano regolatore generale(PRG) è uno dei punti cardine, lo scheletro che sostiene tutte le funzioni del metabolismo urbano, richiede:

 

  • la messa a punto di una visione partecipata delle città del futuro: quali città vogliamo nel 2050, la data che nelle politiche europee è presa come riferimento?
  • l’adozione di un diverso modello di programmazione/progettazione, basato sul metodo del “backcasting”, invece del “forecasting”, previsione.

 

Il metodo del “backcasting” parte dalla definizione di un futuro desiderabile (visione), di un obiettivo sul medio-lungo periodo, e procedendo a ritroso identifica politiche, programmi e progetti che connettono il futuro al presente. La domanda fondamentale che il “backcasting” si pone è: se vogliamo raggiungere un certo obiettivo, quali azioni si devono intraprendere per arrivarci, quali sono i progetti coerenti con l’obiettivo finale? “Backcasting” è il contrario di “forecasting”, previsione. La previsione è il processo attraverso il quale si prevede il futuro sulla base della analisi delle tendenze attuali; il “backcasting” affronta la sfida di discutere del futuro partendo da esso.

Abbiamo delineato dunque una  visione di quello che si vuole debba essere la Sicilia nel breve, medio e lungo termine. Una terra  che deve essere sostenibile, se vogliamo lasciare a chi ci seguirà qualcosa di meglio di quello che abbiamo trovato. Ci si riempie la bocca con i soliti slogan di moda, e poi si procede al rammendo di un vestito vecchio, che alla fine resterà tal quale, in più rammendato.

Diceva Albert Einstein: non si può risolvere un problema con lo stesso modo di pensare che ha provocato il problema. Sarebbe bene ascoltarlo. E volare alto.

  • Foto tratta da hitsicily.com

 

 

 

 

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